martedì 17 novembre 2020

"Giochi di Ruolo" di Mauro Longo. Una recensione dal Nuraghe.

Salve bella gente, quanto tempo eh? Stando a quanto dice il blog sono due anni (DUE!) che non scrivo niente su questo spazio. La mia produttività è calata, il mio interesse per l'ambiente gdr è stato altalenante e quando ho avuto qualcosa dire ho sempre approfittato dell'ospitalità degli amici di Storie di Ruolo. Questa volta però avevo da scrivere qualcosa di molto personale e, insomma, mi sono ricordato che da qualche parte questo blog esisteva ancora. Quindi, veniamo a noi...

Con gli anni la Dino Audino Editore ci ha abituati a prodotti di qualità. Nonostante una grafica poco accattivante e un’impaginazione vetusta, la Dino Audino è sempre riuscita a portare sugli scaffali manuali di tutto rispetto, tra cui spiccano, per fare qualche nome, titoloni imprescindibili come Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler, che serbo gelosamente e avrò riletto almeno un centinaio di volte. 


Forte di un nome credibile, la Dino Audino propone, tra molti sguardi increduli, il suo primo manuale dedicato interamente alla creazione e alla divulgazione dei giochi di ruolo, scritto dal nostrano Mauro Longo, un autore che non ha certo bisogno di presentazioni. Mauro è un prolifico creatore di Libri Game e a lui si devono anche famosi giochi di ruolo come Brancalonia o Ultima Forsan. Il manuale, chiamato semplicemente Giochi di ruolo, con sottotitolo Come inventare, realizzare e proporre giochi di interpretazione, di avventura e di narrazione, è un agile libretto che si propone di introdurre giovani autori alla creazione del proprio gioco

Sarà riuscito il nostro Longo a dare vita a un manuale chiaro, consapevole e capace di illuminare la via dei nuovi autori di GDR?

La risposta breve: no, per niente.
La risposta lunga? Continuate a leggere.


Sin dall’inizio non si capisce chi sia il vero target di questo libro. Longo inizia introducendo il lettore al gioco di ruolo, ma la spiegazione di cosa sia un gdr risulta grossolana e parziale, praticamente figlia degli anni ‘90, in cui esisteva un unico modo di intendere il media. Mai una volta introduce elementi tecnici essenziali come spazio immaginato, fiction o definizioni accademiche elaborate da esperti di game studies. 

Intendiamoci, quest’approccio andrebbe anche bene, se fosse pensato per introdurre lettori che non sanno nulla o quasi dell’argomento, ma siccome il manuale si propone di aiutare nuovi autori nel difficile percorso di creazione di un gioco, ci si aspetterebbe quantomeno l’uso di un vocabolario e di concetti più specifici, più tecnici, più pregnanti

Sfogliando il manuale, anche solo dall’indice, ci si accorge purtroppo della pochezza e della superficialità con cui sono stati trattati certi argomenti. Ve lo dico spassionatamente: da un autore affermato come Longo mi sarei aspettato molto, molto di più, e invece siamo ancora a un livello di consapevolezza sul media molto basso e tronfio nell’esserlo (poi ci si chiede come mai il GDR non riesce a uscire dal suo angolo di amatorialità). Longo fa ripetute affermazioni che ignorano gli ultimi 20 anni di studi sul gioco di ruolo, e lo fa per una precisa scelta di posizionamento di campo.

Lo si nota in diverse occasioni. Per esempio, quando già dall’inizio l’autore fa una divisione dei giochi di ruolo per tipologie, suddividendo il media in gdr di esplorazione, gdr di avventura, gdr di combattimento, gdr di proiezione, gdr di investigazione e gdr narrativi (con un miscuglio incoerente tra modi di giocare e generi narrativi). Tranne l’ultima, tutte le altre tipologie sono praticamente diverse concezioni del cosiddetto gioco di ruolo tradizionale, suddiviso tra l’altro in maniera del tutto arbitraria secondo distinzioni che vede solo l’autore, mentre l’ultima, il gioco narrativo, racchiude tutti i giochi che non hanno una storia data in partenza ma la si costruisce tutti insieme al tavolo (e se conoscete un po’ l’ambiente è come dire nulla). È una catalogazione fuorviante, perché fa passare come “gioco narrativo” tutti i giochi che non sono giochi tradizionali, diversissimi tra loro, tra i quali si annoverano certo giochi il cui scopo è vivere una storia emergente (e sottolineo viverla, non crearla), ma anche giochi che simulano una fiction o un genere, giochi dove conta la sfida e così via. È il solito stereotipo (falso) del gioco dove ce la si racconta, cavalcato da una certa frangia reazionaria e conservatrice che ostracizza tutto ciò che non sia un gdr tradizionale. Insomma, è pura e semplice disinformazione. 

Andando avanti con la lettura del manuale, tra esempi, consigli e descrizioni di questo o quell’altro aspetto di un gioco di ruolo, quello che salta subito all’occhio è che Longo tratti solo un tipo molto preciso e ristretto di gioco di ruolo: quello dove un GM prepara un’avventura da far affrontare a un gruppo di personaggi gestiti dai giocatori. Non ci si prende nemmeno la briga di descrivere o informare su diversi tipi di modi di giocare, figuriamoci se si nominano giochi senza master, giochi con un solo PG principale o giochi senza un gruppo unito che fa avventure. No, si dà per scontato e per assodato che il gioco di ruolo sia solo quello schema là

Volete esempi in tal senso? Vi basti anche solo leggere velocemente l’indice per accorgervi dei capitoli su come preparare l’ambientazione e su come scrivere le avventure per un gioco di ruolo, ricadendo nella vecchia concezione che in fondo in fondo tutti i giochi di ruolo si giochino allo stesso modo, e che quindi possano valere consigli generali in tal senso. L’autore non prende mai in considerazione l’idea che, forse, non tutti i giochi necessitino di avventure, e non spiega nemmeno ai giovani autori come approntare procedure per aiutare i loro lettori e giocatori a sviluppare una loro avventura. La rivendicazione della one true way da chi non è mai uscito come mentalità dagli anni ‘90.

Il resto della trattazione riesce ogni tanto a gettare nel mucchio elementi e idee interessanti, come per esempio il concetto (essenziale) che le meccaniche servano a spingere determinati comportamenti al tavolo, ma purtroppo tutto appena accennato in sì e no due righe. Si spendono invece molte parole su come dovrebbe essere un sistema di combattimento (ancora una volta, secondo l’idea che tutti i giochi debbano averne uno), sui punti vita, sui danni, sulle abilità e le caratteristiche, sui dadi da tirare, in un turbinio di elementi vestigiali da tipico gioco anni ‘80/’90, che sempre più stanno venendo abbandonati anche dai grandi autori. 


Ok, abbiamo capito che Longo parla solamente di un certo tipo ristretto e preciso di gioco di ruolo, ma almeno il manuale è utile se volessi creare quel tipo di esperienza? Non tanto. 

Tutte le indicazioni sono molto vaghe, molto striminzite e peccano della mancanza di focus. Sino all’ultimo non è davvero chiaro quale sia lo scopo di tutto il manuale, se voglia essere una trattazione a volo d’uccello sul gioco di ruolo, un manuale pratico per designer o un aiuto per i GM. Il suo essere di tutto un po’ gli impedisce di risultare efficace in quello che si ripromette di fare

Per essere un vero manuale di design manca di tutti gli elementi essenziali: una disamina della narrazione e della fiction; una dissertazione approfondita sugli obiettivi del gioco e sulle sue tematiche; informazioni sulle autorità narrative e loro distribuzione al tavolo e così via. Manca tutto quello che un nuovo autore dovrebbe sapere per creare il proprio gioco con consapevolezza. 

L’unica cosa che il manuale riesce a fare, forse, è essere un manifesto di un certo modo ristretto di intendere il gioco di ruolo, dimostrandone la superficialità e una certa mancanza di design ponderato e studiato. Dà fastidio dover dare dei giudizi così negativi e così tranchant, ma la mancanza di onestà intellettuale dimostrata dal testo è così palese, così urlata, che è difficile non rimanerne basiti. 

E va detto: questa recensione non vuole essere un attacco a Longo come persona o come autore, con cui anzi mi sono ritrovato spesso d’accordo su altri argomenti e in altri ambienti, ma una riflessione amara di quanto superficiale, conservatrice ed elitaria riesca a essere la cultura dominante del gioco di ruolo, incarognita in una lotta assurda contro la consapevolezza del media portata avanti da designer, divulgatori e studiosi ormai da decenni, e sempre pronta alla cancellazione di tutto ciò che non rientra nello schema prefissato del GM-gruppo di avventurieri. 

Dispiace dover usare parole così dure, ma davvero, credo fosse necessario, perché manuali come questo potrebbero risultare addirittura dannosi se letti e utilizzati da persone poco consapevoli e non posso far finta di non aver trovato tutto questo un’occasione mancata. 

Chiudo ringraziando Leonardo Lucci, senza il quale questa recensione non avrebbe mai potuto vedere la luce. 


venerdì 12 ottobre 2018

Il parere del tizio del nuraghe sul GDR dell'anno 2018

Uno non fa in tempo a uscire dal nuraghe in un bel giorno d’autunno (noi nuragici prendiamo seriamente questo fatto degli equinozi), per scoprire che, udite udite, Lovecraftesque ha vinto il Gioco di Ruolo dell’anno. Eh? Sogno o son destro? Come molti, anche io davo per scontata la vittoria di un certo drago, però i giudici del concorso hanno voluto trollarci tutti demolendo le poche certezze che avevamo.
Siccome ho tempo da buttare, mi va di parlare brevemente di tutti e cinque i finalisti al premio, dandovi il mio sicuramente non richiesto parere per, magari, creare spunti di discussione.


Dungeons & Dragons 5

Il babbo, il grande favorito, il mostro imbattibile. Ci sono state polemiche su quanto fosse pertinente far partecipare e premiare il solo Player’s Handbook, per molti (me compreso) non sufficiente per giocare, ma sorvolerò e parlerò della ciccia. Il gioco com’è? È la migliore incarnazione di D&D ad ora esistente, senza se e senza ma! È un gioco riuscito? A metà, nel senso che saputo utilizzare può essere funzionale, ma si contraddice molto, risulta un po’ incoerente in molte sue parti e di sicuro non può essere considerato uno snello entry level (se tutto il gruppo, GM compreso, è composto da niubbi, auguri). 

Ovviamente non mi aspettavo chissà quale lavoro di design, so che ci sono limiti intrinsechi al progetto e al brand, nonché imposizioni dall’alto, e il gioco di per sé non è altro che una 3.5 semplificata con qualche spruzzata di 4e qua e là, ma di sicuro ha alcune migliorie rispetto alle edizioni precedenti, come i background, la meccanica dei vantaggi/svantaggi e la semplificazione delle abilità. Doveva vincere? Boh, so solo che se avesse vinto non si sarebbe scandalizzato nessuno, anzi. D&D è un brand imponente, capace di polarizzare le attenzioni e, secondo alcuni, addirittura di rimettere in moto l’industria (non sono d’accordo, ma ne parleremo in altre sedi, semmai); forte di una produzione titanica e di un manuale piacevole, ben tradotto da Asmodee anche se dispersivo e spiegato male in alcune sue parti, era il grande favorito.

Sono contento non abbia vinto? Un po’ sì, perché per me il design di qualità è importante e D&D non brilla certo in quel senso, proprio per nulla direi. Avrei rosicato se avesse vinto? No, sinceramente me ne sarebbe importato poco e, anzi, avrei sicuramente preso la palla al balzo per scrivere quella recensione che probabilmente non scriverò mai perché sono troppo pigro. Picchiatemi, perché ci ho giocato tutta l’estate con 3 (3!) campagne brevi e ancora non ho scritto nulla di sensato in merito. Sciagura a me, sciagura a me.


The Sprawl

Siccome Nikola mi paka, di sicuro parlerò benissimo di questo PbtA edito da Dreamlord Press. E invece… ecco, è carino, sfizioso, fa quello che promette, però l’ho sempre trovato troppo ingessato, poco ispirato nelle mosse e nelle meccaniche, come una specie di compitino svolto bene ma privo di personalità e guizzo creativo. Ora, capitemi, è un gioco che funziona: come ho detto, si promette di far giocare storie cyber-punk e ci riesce, grazie alle procedure per la creazione condivisa delle coorporazioni e dello sprawl (sprollo per gli amici), quell’ammasso abitativo, metropolitano e periferico che contiene feccia, umanità disperata, innesti cibernetici e schiavitù al tempo del capitale, però lo fa come un alunno che ti presenta il compito da 7, 7 e mezzo. 

E il manuale? Il manuale è ben scritto, molto facile da consultare e sfogliare, con tutta una serie di procedure chiare da seguire, specialmente in fase di creazione dei personaggi e della campagna, perdendosi un po’ per strada quando deve spiegare la Matrice, le mosse della Matrice e tutte le cose legate al mondo virtuale. Non è Cyberpunk 2020 eh, dove era impossibile giocare un hacker assieme ad altri personaggi, però mi sarei aspettato qualcosa di più ispirato.

Non lo avrei fatto vincere, qualunque fossero stati i parametri del concorso, e infatti non ha vinto. Forse non l'avrei nemmeno inserito nella cinquina dei finalisti, ma di sicuro non credo fosse stonato là in mezzo. Ripeto: poteva essere fatto meglio, ma funziona. Tanto basta. 


Cabal

Cabal è uno di quei giochi scritti con una passione e una dedizione totali e brucianti. Si vede. Lo noti dalle illustrazioni, molto belle e riuscite; lo noti dal setting, di sicuro ispirato e interessante; lo vedi dalla forza con cui gli autori ci hanno creduto, lo hanno spinto, lo hanno portato ovunque. Ammiro questa dedizione, che andrebbe premiata, ma il gioco è bruttino. È un gran bel setting, bello gritty e dark come piace a noi italiani (seriamente, prima o poi dovrò capire come mai scriviamo solo setting così noi; cioè, pure io ne sto scrivendo uno così, che abbiamo di sbagliato?), ma poi di tematico e coerente c’è ben poco. 

Il design è quello dei grandi giochi tradizionali anni ‘90. Tanti parametri e numeri, tante regole per simulare la fisica del mondo, un sistema di combattimento che strizza l’occhio al wargame di D&Diana memoria, ma poi null’altro. È uno di quei giochi che non ti spiegano davvero come si gioca, non ti danno procedure, dei veri macigni da far girare. Il GM deve sobbarcarsi tutto e ignorare quello che va ignorato per il bene della sua storia. Insomma, il classico gioco anni ‘90. Però siamo nel 2018, il design dei giochi ha fatto passi da gigante e ora i tradizionali da battere sono cose come 7th Sea e Numenera che, per quanto ancora acerbi, sono anni luce avanti in fatto di consapevolezza ed eleganza.

Penso sia un gioco da bruciare? No, per nulla, anche se lo reputo un brutto gioco. Ha intuizioni interessanti, e per quanto spezzi il cuore vederle annegare in un regolamento così poco funzionale, c’è dietro tanto amore e tanta passione. Questi ragazzi italiani hanno scritto un’ambientazione interessante, che vi consiglio se amate le cose esoteriche, misteriche e dark. Inoltre, l’editore GG Studio andrebbe premiato anche solo per il coraggio di presentare due giochi tanto diversi e tanto antitetici tra loro (l’altro è Be-Movie, di cui parlerò tra poco). E’ così che si fa, tanta apertura mentale e tanto supporto ai designer italiani. 


Be-Movie

Vorrei tanto dirvi che il gioco fa cagare per fare un dispetto a Helios, ma in realtà... è bello. È un gioco che funziona, che fa quello che promette e lo fa con eleganza, con consapevolezza dei mezzi e senza mai prendersi sul serio nemmeno per sbaglio. È un manualino snello, illustrato in maniera grottesca e funzionale allo scopo, che leggi con gusto e ti spiega abbastanza bene le procedure del gioco. Un gioco che, va detto subito, uccide tutte le vacche sacre del gdr: non c’è il master, non si tirano i dadi né si usa qualsiasi sistema aleatorio, non ci si fa una campagna, non si prepara una storia prima. Fuck yeah!

Mi dà l’idea di un incrocio tra Avventure in Prima Serata e Fiasco, dove però sono stati presi solo i pregi di entrambi i giochi. È un prodotto perfetto? No, ovvio. Può impanicare chi soffre di sindrome da foglio bianco, richiede giocatori molto proattivi e smaliziati e non è per tutti i palati, perché è un prodotto di nicchia che va fiero di esserlo (niente lista di armi, né regole per combattere, né punti ferita, tutto narrazione baby), però ecco, è tutto lì, perché per il resto è un ottimo entry level e se amate i film trash dal basso budget vi farà impazzire. 

Il problema maggiore? È un gioco di Helios, e non possiamo fargli troppi complimenti altrimenti si monta la testa. E questo non lo vogliamo, vero? Pensate se avesse vinto, non oso nemmeno immaginarlo. Certo, se lo sarebbe meritato, ma che disastro poi…


Lovecraftesque, il vincitore

Io e la giuria del GDR dell’anno che siamo d’accordo sul vincitore? Raga, domani scoppia l’apocalisse, io vi avverto. Facili battute a parte, sono felice abbia vinto Lovecraftesque, perché era oggettivamente il gioco migliore tra i cinque finalisti. Al di là di qualche refuso, l’edizione italiana migliora, chiarifica e rende più accattivante tutto quello che di buono era stato fatto nell’edizione inglese, e sono sicuro che la geniale idea delle illustrazioni nascoste da scovare con la lucina abbia stregato la giuria del premio. 

Il gioco in sè è un piccolo capolavoro, per ora l’unico gioco esistente a ricreare per davvero le storie alla Lovrecraft, e ci riesce anche se nessuno al tavolo ha mai letto Lovecraft! Come diavolo fa, direte voi, e beh... basta seguire le regole, perché sono scritte in modo tale da gestire la struttura dei racconti dello scrittore di Providence, e non l’ambientazione dei Miti. Non c’è un GM in senso stretto, ma ruoli precisi che ruotano di scena in scena, esattamente come ruota l’utilizzo dell’unico personaggio giocante. Di scena in scena, i giocatori dovranno fare ipotesi sull’orrore finale, ma sempre cercando di non tirare in ballo spiegazioni soprannaturali. Il soprannaturale infatti, da regole, viene inserito con il contagocce, fino alla macabra e violenta rivelazione finale. 

C’è chi dice che tira più un pelo di Cthulhu che un carro di buoi, e forse è vero, ma Lovecraftesque è il gioco su Lovecraft con meno riferimenti ai miti in assoluto, tanto che non vengono mai citati e non presenta nessuno dei mostri famosi. Tutto va creato dai giocatori al tavolo, in modo che siano loro a dare vita ai loro miti personali. Insomma, un gran bel gioco che sono felice sia stato premiato in questo modo. Giuria, mi avete davvero stupito, tanto di cappello per questa trollata definitiva e finale. 

giovedì 23 agosto 2018

Un nuovo modo di classificare i giochi di ruolo

Salve carissimi lettori, era da tanto che non toglievo un po' di polvere dal blog e pubblicavo qualche articolo. Come saprà chi mi segue, ho abbandonato questo spazio per spostarmi su Storie di Ruolo, dove però per motivi di tempo e pigrizia non ho ancora pubblicato nemmeno un articolo.

Oggi sono qui per dare spazio a Riccardo Agostini e alla sua interessante classificazione dei giochi di ruolo. Per quanto mi riguarda non spenderò altre parole e lascio la parola direttamente a lui. Spero troverete la lettura piacevole e piena di spunti così come l'ho trovata io. Mi arrogo il diritto di inserire mie riflessioni e miei pareri nei commenti sotto l'articolo.




Un nuovo modo di classificare i giochi di ruolo


di Riccardo Agostini


Introduzione

Non è una novità sapere che ci sono svariate centinaia, forse migliaia, di giochi di ruolo pubblicati al mondo, alcuni spesso conosciuti solamente da una manciata di persone. 

Molto spesso questi giochi vengono catalogati nei siti specializzati in base ad alcune categorie poco significative per descrivere l’esperienza che il giocatore si troverà ad avere al tavolo, e altrettanto spesso vengono divisi dai giocatori in due macro categorie (Tradizionali e Moderni) che causano grande dissidio all’interno della comunità del gioco di ruolo (spesso per motivi più di tifoseria che di reale analisi di pregi e difetti). 

Per categorie poco significative intendo che spesso i giochi vengono catalogati a partire dai dadi che usano (se li usano); se hanno classi e razze; se sono fantastici o realistici. Paradossalmente queste categorie accomunano giochi come Dungeons & Dragons e Dungeon World, che poi a conti fatti hanno realmente poco a che spartire l’uno con l’altro.

A partire da queste premesse ho riflettuto sul trovare un modo differente, possibilmente oggettivo, per catalogare i regolamenti senza esprimere però giudizi di merito e senza entrare nei contenuti del gioco: ovvero trovare un modo trasversale di classificare i regolamenti più che tutto il pacchetto del gioco. Classificare il regolamento permette di sapere oggettivamente quali saranno le dinamiche che si instaureranno al tavolo, sia che stiamo giocando ad un gioco ambientato ai giorni d’oggi che ad un fantasy o quel che volete voi.

In questa fase il metodo che ho ideato è indirizzato più al cercare di creare un modo di analizzare i giochi in maniera quasi accademica. Non è ancora allo stadio di avere delle parole chiave descrittive facili da ricordare e quindi utili al consumatore. Serve del tempo per verificare che questo metodo funzioni al meglio e che i parametri che utilizza siano esattamente quelli che servono per analizzare ogni singola sfumatura dei giochi di ruolo. Insomma, per il momento è semplicemente un metodo analitico di indagine e discussione che spero in futuro possa trasformarsi ed essere adottato per aiutare i giocatori a trovare il proprio gioco ideale.

I parametri individuati per la classificazione sono stabiliti su degli assi che vanno da un estremo ad un altro e sono principalmente suddivisi in 4 categorie. Si potrebbero trovare altre categorie, ma queste sono probabilmente le più significative per giudicare la struttura di un regolamento.


Categoria 1 - ASSE CONCRETO - ASTRATTO

Su questo asse viene specificato quanto le regole del gioco riguardino i personaggi ed il mondo interni al gioco oppure quanto invece cerchino di regolamentare il flusso del gioco. Nello specifico si tratta delle modalità di interazione fra i partecipanti e lo Spazio Immaginato Condiviso (SIS).

In un gioco perfettamente concreto avremo regole molto specifiche su tutto quello che le varie entità in gioco possono fare. Ad esempio avremo specifiche per le caratteristiche fisiche, ci saranno regole per stabilire parametri come la corsa, la capacità di combattere, il peso degli oggetti eccetera. Insomma tutte le caratteristiche necessarie a ricreare un mondo virtuale. In un articolo di qualche anno fa (I dadi non hanno senso estetico, che trovate qua), Michele Gelli chiamava physical engine il design di questi giochi, ossia dei motori fisici, in quanto il loro scopo è principalmente quello di rendere fisicamente verosimile (simulare) un mondo anche fantastico. 

In un gioco perfettamente astratto avremo invece regole che stabiliscono principalmente le modalità di dialogo tra i giocatori. Ad esempio verrà specificato chi può dire cosa e quando. Le regole cercheranno di stabilire un flusso di dialogo tra i partecipanti per creare specifiche esperienze di gioco. Ad esempio in un gioco potrebbe essere specificato che ogni volta che un personaggio fallisce in un tiro, sarà il giocatore alla sua destra a descrivere cosa succede.

Esempi di giochi: Dungeons & Dragons è un gioco abbastanza concreto; Dungeon World è un gioco più spostato verso l’astratto. Sono due giochi accomunati entrambi dal concetto di gruppo fantasy eroico.


Categoria 2 - ASSE ALLESTITO - SPONTANEO

Qui viene specificato il livello di preparazione richiesto prima dell’inizio del gioco vero e proprio da parte del solo facilitatore, sia esso un giocatore con ruolo simile agli altri o un master. Si tratta specificatamente di come il gioco richiede di essere giocato leggendone il manuale, non di come i giocatori potrebbero volerlo giocare in base alla propria esperienza e capacità.

I giochi allestiti sono quei giochi che richiedono preparazione preliminare come ad esempio il disegnare mappe, preparare una trama o una serie di eventi che poi potrebbero accadere in partita; scrivere caratteristiche degli avversari o utilizzare manuali precompilati con raccolte degli stessi; preparare enigmi da risolvere oppure utilizzare moduli di avventure. Un gioco allestito potrebbe anche essere giocato improvvisandolo, ma non ha al suo interno regole per facilitarne l’uso in tal senso.

I giochi spontanei sono quei giochi che non richiedono preparazione e che invece hanno al loro interno regole che facciano emergere le tematiche prefissate dal gioco in maniera automatica, senza bisogno di intervento a monte di preparazione. Un gioco spontaneo avrà all’interno delle sue regole dei sistemi integrati che permettano alla partita di andare avanti senza bloccarsi e di far emergere un’esperienza in linea con quanto ci si era prefissati inizialmente.

Esempi di giochi: Il Richiamo di Cthulhu è un gioco fortemente allestito; Lovecraftesque è un gioco fortemente spontaneo. Sono due giochi accomunati entrambi dal concetto di giocare in un’atmosfera che ricorda i racconti di Lovecraft.


Categoria 3 - ASSE SUGGERIMENTI - PROCEDURE

Questa categoria specifica quanto il regolamento faccia sì che il facilitatore, o più raramente tutti i partecipanti, si basino su procedure precise, da seguire con cura, oppure se lascia liberi di impostare le proprie procedure di gioco. Come procedure si intendono i comportamenti tenuti al tavolo dai partecipanti (siano essi un GM o giocatori con ruoli più o meno specifici o generici) ai fini di condurre e gestire il gioco. Richiedere o meno un tiro, e perché, è una procedura; effettuare o meno i tiri di nascosto è una procedura; decidere chi narra gli esiti delle azioni è una procedura; spingere o meno su una storia già scritta è una procedura, ecc.

Spesso si fa confusione fra i giochi che hanno regole matematiche ben codificate (per esempio: la spada fa 1d8 danni) scambiandoli per giochi con procedure ben codificate. Per procedura si intende la codifica di come i partecipanti al gioco si devono comportare in base alle circostanze di gioco che si vengono a creare. Ad esempio una procedura può essere: “quando affronti il pericolo devi dire come lo fai, tirare i dadi e consultare la seguente tabella”. Un esempio di suggerimenti può essere che il master decida che la cassaforte è stata scassinata anche con un tiro sbagliato perché è fondamentale che il gruppo trovi un indizio per poter proseguire nella storia.

Più ci si sposta sul piano delle procedure e più ogni giocatore, in particolare modo il facilitatore, deve sottostare al regolamento scritto, in cui procedure chiare spingono a comportamenti specifici tra i giocatori per ottenere dei risultati di un certo tipo durante la partita, e in cui non ci dovrebbe essere più bisogno di aggiustare le regole al volo per proseguire nella storia. Più invece il gioco è spostato verso i suggerimenti e più il manuale risulta una guida di massima per far impostare, a uno o più giocatori (tipicamente il GM), la partita nella direzione voluta, senza curarsi se i giocatori otterranno un tipo di esperienza piuttosto che un’altra. 

Un esempio palese di giochi spostati verso i suggerimenti sono i giochi freeform, in cui non ci sono procedure specifiche da seguire ma ci si affida maggiormente alle scelte effettuate dal master, quando ce n’è bisogno. I giochi spostati verso le procedure invece hanno regolamentato tutto il flusso delle regole da utilizzare e non c’è modo di uscire da questo seminato a meno di non stravolgere il gioco. Nei giochi con regole spostate sui suggerimenti il master ha molto potere discrezionale sull’applicazione del regolamento (a volte dovendo scegliere tra varie opzioni, altre invece senza alcun aiuto), mentre in quelli fortemente procedurali questa discrezionalità non esiste. 

Esempi di giochi: Undying è un gioco spostato sulle procedure; Vampiri è un gioco spostato sui suggerimenti. Sono entrambi giochi accomunati dal concetto di giocare vampiri immortali che cercano di ricavare la propria nicchia di potere all’interno della società di non morti.


Categoria 4 - ASSE AUTORITÀ CENTRALIZZATA - DISTRIBUITA

Qui si stabilisce quanto il potere di stabilire se un’affermazione fatta da qualcuno riguardo allo Spazio Immaginato Condiviso (SIS) sia nelle mani di una singola persona oppure distribuito tra più persone (vi rimando alla voce: autorità narrative del glossario).

Nei sistemi con autorità narrativa centralizzata l’unica persona che può decidere di inserire nuovi elementi nel SIS, o comunque ha sempre l’ultima parola in proposito, è la figura del master. Nei sistemi con autorità narrativa distribuita invece ogni giocatore può apportare modifiche significative al SIS in base a ruoli e modalità che variano di gioco in gioco (fino ad arrivare ai masterless, dove le varie autorità sono ugualmente distribuite tra i partecipanti). Questo non preclude ai giochi che prevedono il master di avere il proprio asse spostato verso l’autorità distribuita: basti pensare a giochi che permettono al giocatore di uno dei personaggi di narrare i propri fallimenti o i propri successi, inserendo nuovi elementi all’interno del mondo di gioco. 

Per fare un esempio concreto, in Trollbabe, un gioco che prevede la presenza del master, gli altri giocatori devono narrare i propri fallimenti spiegando cosa succede e in che modo il personaggio ha fallito. Possono anche inserire nuovi elementi in scena per spiegare per quale motivo possono tentare nuovamente di effettuare un’azione che hanno fallito, utilizzando l’aiuto di altri personaggi loro amici, di elementi dell’ambiente circostante, di effetti magici ecc… il tutto senza dover ricevere l’avallo del master (no, neanche quello scambio di sguardi in cui silenziosamente si chiede il permesso per poter dire quello che si sta dicendo).

Esempi di giochi: G.U.R.P.S. è un gioco con autorità narrativa centralizzata; Archipelago è un gioco con autorità narrativa distribuita. Entrambi sono giochi di avventure senza un setting prestabilito.


CONSEGUENZE DEGLI INTRECCI DELLE CATEGORIE

Le quattro categorie non sono dei compartimenti stagni: l’intreccio delle varie categorie serve a descrivere i regolamenti in un modo leggermente più complesso di quanto non sembri ad una prima occhiata. 

Non voglio coprire tutte le possibilità in questo articolo per evitare di tediare i lettori e anche per dare la possibilità a chi vorrà analizzare i giochi di trarre le proprie conclusioni. Per avviare la discussione farò però qualche esempio.

Quali potrebbero essere le caratteristiche che dovrebbe avere un ipotetico gioco di ruolo che punta ad essere tattico nei combattimenti? Individuo come caratteristiche essenziali un forte Allestimento e un’alta Concretezza. Un gioco molto Allestito dà la possibilità al facilitatore (master) di creare scenari molto specifici in cui ambientare i combattimenti e permettere ai giocatori di dimostrare la propria abilità tattica sfruttando tutta la preparazione da lui effettuata. 

Ma l’allestimento non basta a generare un regolamento tattico, ci serve la Concretezza con la quale i giocatori si potranno confrontare per scegliere di volta in volta le opzioni migliori da utilizzare in ogni data circostanza. Più un gioco è concreto e più il giocatore potrà sfruttare la matematica o il motore fisico del gioco a proprio vantaggio per superare i combattimenti in maniera tattica (i wargame sfruttano questa caratteristica per costruire il proprio gameplay competitivo ad esempio). Questo non significa però che ogni gioco molto Allestito e molto Concreto sia anche un gioco magistralmente Tattico: questa è una valutazione di tipo qualitativo che esula dallo scopo di queste classificazioni.

Quali potrebbero essere le caratteristiche di un gioco che punta a sfruttare lo spazio immaginato condiviso per generare fiction anche in combattimento? Un gioco che voglia utilizzare il fictional positioning per creare effetti e conseguenze per personaggi e png coinvolti in un combattimento ha bisogno di essere un gioco spostato su Procedure e Astrazione. 

Le Procedure servono ad impedire che lo sfruttamento dello spazio immaginato condiviso sia solo ad appannaggio del master: se così fosse, le azioni dei giocatori potrebbero essere distorte e disinnescate dal volere del master, mentre l’avere un master obbligato a seguire delle procedure precise permette ai giocatori di influenzare lo spazio immaginato condiviso nel modo che essi ritengono più opportuno e sfruttarlo per generare scene d’azione come le preferiscono. Serve però molta Astrazione, poiché è l’Astrazione la caratteristica che permette ai partecipanti di interagire al meglio con quello spazio immaginato. Infatti più un gioco è concreto e meno le regole dialogano con la fiction per creare scene profonde e appassionanti, poiché come abbiamo già visto la concretezza genera (anche involontariamente) un approccio più tattico che drammatico alle scene. 

Si potrebbero fare molti esempi, come le caratteristiche ideali di un gioco studiato per generare tensione tra giocatori (non personaggi), oppure per generare partite che esplorino l’orrore intimo o per partite che facciano leva sul senso di scoperta e avventura. 

Farsi un’idea su quali possano essere le caratteristiche ideali per un determinato tipo di gioco può anche servire a capire se il gioco che abbiamo sotto mano sia effettivamente adatto a quello che si propone di fare. Se un gioco si pubblicizza come perfetto per avere partite in cui si esplorano i sentimenti intimi dei personaggi ed il loro effetto su coloro che li circondano e poi le sue regole sono spostate sulla Concretezza, i Suggerimenti e l’Allestimento, sappiamo già a priori che quel regolamento molto probabilmente avrà molti problemi a raggiungere l’obiettivo che si è prefissato.


CONCLUSIONI

Ogni asse non è un valore binario in cui si è o spostati completamente da un lato o dall’altro. Come nella vita anche i giochi sono pieni di sfumature e scale di grigio e molto spesso è anche piuttosto difficile giudicare con precisione il posizionamento sulla scala di ciascun gioco. Probabilmente ogni analista darà un punteggio leggermente differente ad ogni gioco fino a che non si riuscirà a raggiungere il consenso sul reale posizionamento dei vari sistemi. Fino ad allora possiamo prendere questi valori solo come semplici approssimazioni e linee guida per valutare i giochi con un pizzico di accuratezza in più rispetto a quanto fatto finora.

Qui di seguito vi metto una mia personale valutazione di alcuni giochi, utilizzando gli assi come una scala da 1 a 5 valori dove 1 equivale ad essere completamente spostati da un lato e 5 completamente spostati dall’altro. Per principio non scrivo a cosa corrisponde ogni punto in ciascun asse, poiché non è ancora il momento di stabilire quale sia la miglior scala di valutazione. Questa fase avverrà in un secondo momento nel caso la teoria alla base di questi ragionamenti si dimostrasse essere solida.

DUNGEONS & DRAGONS 5a
Concreto X - - - - Astratto
Allestito - X - - - Spontaneo
Suggerimenti - X - - - Procedure
Centralizzato X - - - - Distribuito

VAMPIRI
Concreto - X - - - Astratto
Allestito X - - - - Spontaneo
Suggerimenti X - - - - Procedure
Centralizzato X - - - - Distribuito

GURPS
Concreto X - - - - Astratto
Allestito X - - - - Spontaneo
Suggerimenti - X - - - Procedure
Centralizzato X - - - - Distribuito

7Th SEA
Concreto - - - X - Astratto
Allestito - - X - - Spontaneo
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Centralizzato - X - - - Distribuito

APOCALYPSE WORLD
Concreto - - X - - Astratto
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BLADES IN THE DARK
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FATE
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FIASCO
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LOVECRAFTESQUE
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IL RICHIAMO DI CTHULHU
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TROLLBABE
Concreto - - - - X Astratto
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Suggerimenti - - - - X Procedure
Centralizzato - - - X - Distribuito

domenica 29 aprile 2018

Laboratorio di Design #1: indirizzare il gioco

Salve a tutti.
Questo è il primo appuntamento del nostro neonato laboratorio di design, dove utilizzeremo Sine Requie (leggendario gioco di ruolo partorito dalle folli menti di Matteo Cortini e Leonardo Moretti, i quali mi hanno ispirato moltissimo nella mia passione per il game design) come base comune per dare vita, ognuno di noi, a un nuovo design coerente. Appuntamento dopo appuntamento ne analizzeremo i difetti e la forma, tentando di correggere i primi e modificare la seconda per perseguire i nostri malvagi e personali scopi.

Secondo la mia testolina piano piano daremo una nostra direzione al gioco, limeremo i difetti, toglieremo il superfluo e aggiungeremo quello che manca, così da avere alla fine il prototipo (probabilmente imperfetto) di un nuovo gioco. Ognuno di voi lettori, in caso vorreste partecipare, lavorerà su un suo prototipo personale, nel puro spirito di un vero laboratorio.

Perché ho scelto Sine Requie? Per una serie di motivi, primo tra tutti il fatto di essere un gioco interamente italiano, i cui autori sono abbastanza attivi sui social e quindi disponibili per un dialogo; il secondo motivo è che si tratta di un gioco abbastanza conosciuto e amato e, specialmente, conosciuto e amato da me, il che rende il lavorarci sopra più facile e piacevole; il terzo e più importante motivo è che Sine Requie è un gioco dal regolamento poco snello, invecchiato male, a tratti incoerente e di sicuro privo di un vero e proprio focus. Sono tutte cose che ci permetteranno di lavorare di lima, scalpello e goniometro per cercare di aggiustarne le imperfezioni e trovargli un indirizzo più focalizzato. Ultimo motivo è che, scegliendo un gioco già conosciuto, saremo tutti sulla stessa lunghezza d'onda, cosa difficile da ottenere altrimenti. 

Perché lo facciamo? Essendo questo un laboratorio, lo immagino come un modo per capire meglio come scrivere e strutturare un gioco di ruolo, e, in secondo luogo, come modo per entrare all'interno del'analisi di un titolo, capirne pregi e difetti e in generale iniziare ad apprezzarne la forma e il design. 

Detto questo, direi di iniziare il nostro laboratorio con una delle parti più fondamentali di tutto il processo creativo: capire dove vogliamo andare a parare.
Tutte le immagini presenti in quest'articolo appartengono ai rispettivi autori e a Serpentarium.


Di cosa parla Sine Requie?

Non possiamo partire a caso iniziando ad aggiustare regole qua e la perché sì; no, prima dobbiamo sapere che cosa vogliamo ottenere da tutta questa operazione, quindi per primissima cosa è necessario capire di cosa parla Sine Requie. Se non riusciamo a capirlo, o la risposta non ci soddisfa troppo, possiamo decidere di prendere un indirizzo diverso e lavorare seguendo questa traccia. In ogni caso, è proprio questa traccia chiara e precisa che ci serve. 

Vediamo cosa dice la presentazione ufficiale del gioco (fonte Asmodee):

Il 6 Giugno 1944 il mondo sprofondò nel più oscuro degli inferni. Nel Giorno del Giudizio i Morti iniziarono la loro caccia contro il genere umano.
Adesso è il 1957, il mondo è divenuto un ammasso di macerie, dove i pochi superstiti cercano di resistere alla fame dei Morti. Poche nazioni, rette da crudeli dittature, sono sopravvissute. 
In Germania è sorto il IV Reich, un regno di orrore e follia, di freddi esperimenti genetici volti alla creazione della razza eletta e di armi terrificanti. 
La grande Russia è sepolta sotto le titaniche città di metallo del Soviet, governate dall’inumano calcolatore chiamato Z.A.R. e dalle sue biomacchine. 
L’Italia, ribattezzata Sanctum Imperium, è governata da Papa Leone XIV e dai suoi Inquisitori. 
In queste terre anacronistiche i roghi sono tornati ad ardere la carne umana. 
Il futuro più buio che l’uomo potesse immaginare è diventato la più mostruosa delle realtà. Questo è il mondo di Sine Requie.
In Sine Requie chiunque muoia diventa uno zombie. Alcuni risorgono come mangiatori di carne privi d'intelletto, altri mantengono la propria coscienza. Ma a che prezzo? Tutt'attorno, come se non bastasse, il mondo è dominato da terribili dittature che trattano le persone come oggetti da usare e buttare. Non sembra esserci uno straccio di positività e la speranza pare essere morta per sempre. L'umanità è un ricordo sempre più sbiadito, sottomessa da forze esoteriche e magiche che sembrano aver preso il controllo della realtà. I pochi regimi si sono riassettati in società classiste, dove precisi mestieri indispensabili tengono lontani i morti ma opprimono ancor di più gli sfortunati viventi. 

Ma Sine è anche un gioco che vive di due anime contrapposte: da una parte una ricerca del realismo fisico, con regole per i combattimenti tattici, le ferite per ogni zona del corpo, ecc.; dall'altra ha una forte componente tamarra e surreale, con spade motosega, macchinari enormi che straziano le carni, elementi esoterico-misterici, magia e non morti senzienti capaci di alterare la realtà con il pensiero.

Tanto a livello regolistico che in parte a livello di setting si tratta di un gioco abbastanza incoerente, privo di una strada univoca da percorrere. Manca di una direzione e non si capisce davvero di cosa voglia parlare o che esperienze voglia suscitare. Ed è qui che arriviamo noi.


Indirizzare il gioco

Indirizzare il gioco è complicato, poiché dovremo decidere ben tre cose principali rispondendo ad altrettanto domande. Queste domande ci porteranno all'obiettivo di design del gioco, ossia lo scopo del gioco stesso: cosa vogliamo comunicare con esso, cosa dovrebbero farci i giocatori, a cosa serve.
Le domande sono queste:
  • Cosa faranno i giocatori?
  • Cosa faranno i personaggi?
  • Quali tematiche vogliamo esplorare?
Cosa faranno i giocatori?
Ossia, cosa dovranno fare i giocatori quando si siedono al tavolo e giocano? Non è una domanda scontata e non dobbiamo darla come tale. Per rispondere dobbiamo decidere quali saranno i ruoli del giocatori e per quale motivo dovranno effettivamente giocare.

Per primissima cosa, è importante stabilire cosa ci si aspetta dai giocatori: dovranno superare sfide? Utilizzare l'intelletto? Gestire risorse nel modo migliore? Gestire combattimenti? Avere molta creatività? Esplorare una storia? Fare scelte difficili e drammatiche? Competere tra di loro (pvp) o fare squadra? Avere segreti al tavolo oppure no? Questa impostazione iniziale è di fondamentale importanza, perché avvia per sommi capi l'indirizzo del gioco verso un obiettivo di design più chiaro e preciso, attorno al quale imbastiremo tutte le meccaniche più focalizzate.

Poi, ovviamente, c'è da iniziare a pensare, almeno in maniera generale, alle autorità narrative. Lo schema classico ci dice che c'è un GM che gestisce il mondo e i png, mentre i giocatori avranno ognuno un loro personaggio. Non è l'unico schema possibile e potrebbe non essere il più indicato per gli obiettivi che ci porremo. La cosa principale in questa fase e avere già in mente, almeno in maniera vaga, chi potrà dire cosa e quando, quindi: chi potrà gestire i png, quali e quando; chi potrà inserire nuovi elementi in gioco, come e quando; chi potrà impostare le scene, come e quando; chi gestirà i pg, come e quando; chi narrerà gli esiti delle azioni, come e quando. Non esiste una risposta univoca alla cosa, tutto dipende dalle nostre scelte. Spesso la cosa diverrà più chiara mano a mano, con il proseguire del lavoro. Lo schema scelto potrebbe persino venire abbandonato in favore di uno più pertinente o funzionale.

Cosa faranno i personaggi?
Anche per questa domanda la risposta è un mix di risposte diverse ad altre domande più piccole. 
Intanto, chi sono i personaggi? Fanno parte di un gruppo specifico con obiettivi simili, oppure sono eterogenei e diversissimi tra loro per origini, competenze ed obiettivi? E anche in quel caso, sono tutti eroi o grandi personaggi del loro tempo, oppure persone qualunque? O un mix delle due cose? 

Come agiscono i personaggi? Lavorano in un gruppo unito, come nella più classica delle tradizioni gdristiche, oppure agiscono singolarmente portando avanti ognuno una propria agenda personale? Ricevono missioni da qualcuno, oppure seguono la loro agenda?
E ancora, perché agiscono? Qual'è il loro scopo? Hanno tutti uno scopo comune? Lo scopo è già deciso in partenza dal gioco? Oppure ogni giocatore può sceglierne uno suo creandolo (o da una lista prestabilita)?

I personaggi evolveranno come persone, cambiando lungo il corso del gioco, oppure rimarranno invariati e si giocherà per confermarne gli aspetti (come nel più classico dei D&D)? 

Sono tutte domande molto importanti, alle quali dovreste dare delle risposte più chiare ed esaurienti possibili, poiché questa impostazione influenzerà pesantemente le meccaniche future.

Quali tematiche volete esplorare?
Tutti i giochi, nessuno escluso, portano avanti delle idee sul mondo, sulla società, sulle persone, la vita, l'universo e tutto quanto. TUTTI. Queste idee vengono rivelate dal modo in cui le meccaniche lavorano e creano narrazione ed eventi. Un gioco con classi e razze diverse ha già in se una certa idea sulla società, per esempio.
Quello che vogliamo noi è portare avanti una o più tematiche focalizzate e non contraddittorie tra loro, in modo da imbastirci attorno le meccaniche e le regole del nostro gioco. 

Ci sono sempre due modi, in questa fase di preparazione, per impostare una tematica, e noi dovremmo scegliere uno dei due, ossia: una domanda o un'affermazione. 
La domanda è un quesito che ci poniamo sul mondo, la società, gli esseri umani, ecc. e che vorremmo siano i giocatori (eventuale GM compreso) a risolvere, semplicemente giocando e seguendo le nostre regole. "Cosa è  l'amore?", "riuscirai a rimanere umano?", "quale tipo di adulto diventerai?", sono tutte domande tematiche interessanti.
L'affermazione invece è un'idea precisa e stabilita sul mondo, la società, gli esseri umani, ecc. Potremmo dire che è una domanda alla quale noi designer diamo già una risposta, e le meccaniche del nostro gioco non faranno che avvallare questa nostra idea. Di solito l'affermazione porta con se, a a valanga, tutta una serie di conseguenze molto interessanti da esplorare durante le partite di gioco. 

Per i nostri scopi possiamo estrapolare la nostra o le nostre tematiche direttamente dall'ambientazione di Sine Requie. Essendo però questa zeppa di possibilità, dobbiamo compiere delle scelte oculate e lasciare fuori tutte quelle possibilità che cozzano tra loro e si contraddicono a vicenda. Questa scelta, ripeto, sarà fondamentale, perché gran parte delle nostre meccaniche gireranno attorno al tema. Inoltre la scelta del tema deve risultare coerente con ciò che faranno i giocatori e i personaggi all'interno del gioco. Tutto è connesso.


Le mie scelte, le vostre scelte

Iniziamo quindi, assieme, a pensare un po' come impostare la nostra personale versione di Sine Requie. Partiamo dal setting di Curte e Leo. Più avanti inizieremo a lavorare su ogni singolo aspetto e  sulle singole meccaniche, ma per adesso dobbiamo impostare il percorso che seguiremo.

Rispondiamo quindi alle tre domande di sopra, anche in maniera molto vaga e schematica, così da aiutarti a vicenda e aggiustare il tiro discutendone e parlando. Per partecipare a questo laboratorio, infatti, non vi resta che iniziare a pensare a un'idea vostra, rispondere alle tre domande e quindi iniziare ad addentrarvi nel duro mondo del game design. Scrivete tutto come commento qui sotto, o nelle discussioni dei vari social.

Io dal canto mio ho già fatto questo percorso con Sine Requie Nova Era, e vi elencherò di seguito le risposte che ho dato alle tre domande di questo articolo:

Cosa faranno i giocatori? 
I giocatori interpretano ognuno un proprio personaggio, mentre uno vestirà i panni del GM (qui chiamato Cartomante). Si gioca per esplorare il proprio personaggio, prendere scelte difficili, scommettere su di esse e vedere cosa succederà. Il GM non prepara una storia, ma gestisce il mondo e i png reagendo alle scelte dei giocatori. Il player versus player non solo sarà all'ordine del giorno, ma anche abbastanza consigliato.

Cosa faranno i personaggi? 
I personaggi sono di estrazione sociale diversa (da poveracci a veri e propri leader famosi), ma sono tutti legati a doppio filo a una situazione tesa iniziale. Non esiste il concetto di gruppo, ognuno porterà avanti un'agenda personale. I personaggi cambieranno come persone lungo il corso delle partite.

Quali tematiche volete esplorare?

  • Non ci può essere redenzione nel mondo di Sine Requie! I personaggi tenderanno a venire logorati e si trasformeranno lentamente nei nuovi abitanti del mondo: non morti assetati di carne, letteralmente o metaforicamente. Non si può rimanere umani, prima o poi tutti diventeranno delle bestie.
  • Cosa sei disposto a sacrificare per ottenere quello che vuoi? L'azzardo farà parte integrante delle meccaniche; prendere scelte difficili e scommettere su di esse sarà uno dei fulcri del gioco. 



Ora a voi. Fatemi sapere nei commenti le vostre idee.
Rispondete alle tre domande e cercate di esplorare e argomentare le vostre idee e scelte. Quello che vi propongo è di scegliere un focus abbastanza stretto e iniziare a lavorare su quello. Per or fermatevi solo su questa prima impostazione iniziale. Il resto verrà piano piano con gli altri articoli. 

domenica 25 febbraio 2018

7 giochi di ruolo giapponesi che potrebbero interessarvi

Il Giappone. La patria del sushi, dei manga, della pornografia con i tentacoli e delle pubblicità fuori di testa. In Italia di appassionati jappofili ne esistono un numero incalcolabile, ma quanti di questi conoscono e sono appassionati di giochi di ruolo giapponesi?

No, non mi riferisco ai famosi Jrpg, ossia videogiochi come Final Fantasy, Dragon Quest, Megami Tensei e simili, ma a giochi di ruolo carta e penna. Il Giappone ha dalla sua una tradizione tutta particolare, poiché per molti anni slegata dalle grosse mode occidentali. Il gdr giapponese si è evoluto direttamente dalle vecchie edizioni di Dungeons & Dragons, diventando qualcosa di peculiare e per certi versi unico. In questo panorama non troverete i classici tradizionaloni, ma non aspettatevi nemmeno giochi indie leggeri e narrativisti, tantomeno sperimentazioni. I giochi del sol levante sono una realtà a parte, un mondo affascinante e peculiare che vale la pena esplorare.


Per questa sortita in quel del Giappone mi farò aiutare dal mio amichetto Emanuele Galletto, molto più esperto di me in materia. Vi consiglieremo 7 giochi tradotti in lingua inglese che possono riassumere abbastanza bene queste peculiarità, ma prima vale la pena spendere due parole sul modo di giocare e sui gusti dei giapponesi.

In Giappone i giochi di ruolo non si chiamano giochi di ruolorole-playing game, bensì esiste un acronimo più interessante: TRPG, ossia Table-Talk Role Playing Games, con un'enfasi sul dialogo al tavolo e il clima rilassato. Si tratta di giochi dal tono relativamente leggero ed escapista, e abbastanza classici nella loro forma: 1 GM, 4-6 giocatori, abilità, tiri di dado, XP, classi, ecc. L'approccio tipico però è quello di dare enorme peso al supporto visivo, a ciò che può essere manipolato al tavolo e che possa velocizzare e standardizzare l'esperienza (non sono rari token per specificare gli spotlight dei giocatori).

Si tratta di giochi poco incisivi dal lato "sperimentazione" (i masterless per esempio si contano sulle dita di una mano e non troverete le menate alla The Forge, realtà che non ha avuto alcun impatto in Giappone), ma nonostante questo più compatti e precisi rispetto ai classici tradizionali a cui siamo abituati. Tutto è pensato per essere "parametrico" e per dare un'esperienza di gioco precisa (scordatevi giochi generici o vaghi da questo punto di vista); i manuali sono veri e propri libretti d'istruzioni, poveri di fuffa e pieni di esempi di gioco dettagliatissimi, spesso presenti anche in video di youtube fatti con tool come RpG Maker. Gli esempi servono a dare un'idea molto approfondita di come si debba giocare quello specifico gioco, e cosa i giocatori debbano fare al tavolo. 

Peculiare anche il modo in cui i giapponesi vivono il gioco. È molto raro ritrovarsi a casa di qualcuno per portare avanti una campagna; i momenti di gioco sono quasi del tutto relegati alle convention o a luoghi d'incontro prestabiliti, come le associazioni. Ne viene da sé che i giochi siano pensati per durare poco e la maggior parte siano utilizzabili a one shot. In Giappone non esiste, come da noi, il mito della campagna che dura anni e gli incontri di gioco avvengono di solito ogni 2-3 settimane. Anche le convention sono particolari, dato che i potenziali partecipanti (siano essi GM o giocatori) scrivono su un foglietto il gioco che vogliono giocare, con tanto di ruolo e descrizione, e poi si lascia fare alla maggioranza o al caso. Questo significa che spesso si giocano titoli casuali che magari non si era pensato di provare.

Il contratto sociale al tavolo è molto forte e l'etichetta svolge un ruolo preponderante, proprio come ci si aspetterebbe da dei giapponesi. Un giapponese non si sognerebbe mai di barare e i problemi tra giocatori e GM sono una rarità. Se uno dei problemi più sentiti, in occidente (USA e Italia per la mia esperienza) è quello di avere a che fare con GM/giocatori che sono degli idioti e rovinano l'esperienza, in Giappone uno dei problemi principali è quello di far conoscere cosa sia un gioco di ruolo e come sia possibile giocarci.

Questo flebile successo dei gdr carta e penna è dovuto, inizialmente, a una poco amata traduzione nipponica de Il Signore degli Anelli, che non riesce a far nascere l'amore per quel tipo di fantasy che in occidente farà la fortuna dei gdr, e in seguito a una pervasiva presenza del media videoludico. Se in occidente i videogiochi iniziano a competere seriamente con i giochi da tavolo e i gdr solo a partire dalla fine degli anni '80 (in Italia facciamo anche metà '90), per via della loro estrema ripetitività e bassa presenza nelle case, in Giappone il NES e il Famicom fanno capolino negli anni del boom mondiale di D&D, qualche anno prima della traduzione nipponica del gioco. I produttori videoludici giapponesi, consapevoli del possibile appeal dei gdr tabletop, iniziano subito a creare controparti videogiocose per far loro concorrenza. Tra '85 e '87 escono rispettivamente Dragon Quest e Final Fantasy. Negli anni '90, quando alcuni gdr di successo come Call of Cthulhu, Cyberpunk o Shadowrun vengono importati in Giappone, gli jrpg da console hanno il loro mega boom, cosa che relega ulteriormente i gdr tabletop a una nicchia.

Fatta una veloce panoramica dell'ambiente giapponese, è giunto il momento di consigliarvi qualche gioco, tutti abbastanza diversi, adatti ai palati più disparati e, ovviamente, tutti tradotti in inglese. Mi spiace per i non anglofoni, ma è già tanto esistano traduzioni in lingua inglese. Il 90% dei giochi nipponici rimangono inaccessibili a noi occidentali proprio perché localizzati solo in giapponese.



Double Cross

Autori: Shunsaku Yano, F.E.A.R.
Master: sì
Numero giocatori: 3-6
Durata: one shot o poche sessioni
Preparazione: 
Lingua: inglese, giapponese

Consigliato se: siete alla ricerca di un gioco horror capace di fondere assieme l'appeal di Vampiri con le regole action di giochi alla Marvel Heroic RPG, ricreando le emozioni alla Devil May Cry o Parassite Eve; se volete un gioco dove il combattimento tattico risulta anche particolarmente coreografico e libero e dove un attenta gestione delle risorse può fare la differenza; se amate le storie dove eroi disperati bruciano i loro legami e diventano dannati e pieni di rimpianti.


Il virus mutageno Renegade ha infettato la maggior parte della popolazione mondiale. Gli infetti, chiamati Overeds, sono in possesso di strabilianti e spaventosi poteri, ma ad un prezzo: perdere il controllo in preda allo stress significa trasformarsi in mine vaganti. In questo mondo popolato da super umani due fazioni lottano tra di loro per il dominio: un'agenzia governativa con il compito di proteggere e preservare la popolazione e un gruppo terrorista stile "mutanti cattivi di Magneto" che vuole spingere il genere umano ad abbracciare l'evoluzione successiva.

Se quest'incipit alla manga shōnen vi sembra effettivamente molto stereotipato, sappiate che tutto il regolamento è pensato per sfruttare al massimo tutte le idee in esso presenti, in un modo che farà la felicità degli amanti dei giochi giocattolosi e frenetici. Dato che ogni giocatore interpreterà un Overed, si creano i personaggi scegliendo due tipologie da una lista di 12 diverse sindromi (come il manipolatore di luce, quello che controlla il tempo, chi utilizza fuoco e ghiaccio, ecc.) ognuna con dei poteri e delle capacità specifiche, infine si calcolano le caratteristiche e le abilità e si tira casualmente per stabilire il background. Se fino a qui sembra tutti così classico che più classico non si può, le cose cambiano quando si inizia ad analizzare il resto delle meccaniche.

Esistono infatti tre elementi unici e fondamentali. Il primo si chiama encrochment e indica lo stadio di avanzamento della malattia. Più la malattia avanza è più la potenza in combattimento aumenta, tanto che alcuni poteri possono essere utilizzati solo quando la malattia raggiunge un determinato livello. Il problema è che questo porta a trasformarsi sempre più in un mostro. Quando l'encrochment arriva al 100% si diventa una bestie dissennata e mostruosamente mutata. L'unico modo per tenere a bada questa spiacevole deriva sono i lois, i legami con le altre persone, che sono sia positivi che negativi (puoi amare tuo fratello ma sotto sotto invidiare il suo successo, per esempio). I lois tengono a bada la mutazione, ma possono essere distrutti (quando un legame muore o si corrompe), trasformandosi in titus. I titus sono ancora più potenti e se ne possono avere di numero infinito, mentre i lois possono essere solo 3. L'idea è quella di personaggi irrefrenabili che distruggono le persone che amano e vivono di rimpianti.

Questi tre elementi vanno sempre e costantemente bilanciati, cosa che impedisce un certo tipo di gioco powerplayoso e al contempo favorisce tantissimo l'introspezione dei personaggi e la creazione di fiction. Tutto questo inserito perfettamente in un gioco decisamente action, dove le regole per menare le mani sono il grosso del manuale. Il combattimento è di quelli molto fiction first: coreografico, slegato da mappe e basato su zone astratte (alla Fate o 13th Age), basato su una continua escalation di poteri in base all'aumento costante dell'encrochment. Per quanto riguarda il resto, invece si tratta di un gioco diviso in scene, dalla durata breve, dove il GM è guidato nel suo compito e dove tutto è pensato per entrare subito nel vivo. 


Golden Sky Stories

Autori: Ryo Kamiya, Tsugihagi Honpo
Master: sì
Numero giocatori: 3-6
Durata: one shot o poche sessioni episodiche
Preparazione: sì, minima
Lingua: inglese, giapponese

consigliato se: vi siete rotti delle solite storie violente e volete giocare qualcosa di più tenero, coccoloso e scalda cuore; se stavate cercando un gioco da poter utilizzare con i vostri figli o i bambini in generale (previa traduzione delle parti essenziali e aiuto da parte vostra); se vi piace l'idea di giocare animali magici alle prese con i problemi delle persone e capaci di superare le avversità solo attraverso forti legami con le altre persone e i propri amici. 


A volte c'è bisogno di qualche momento scalda cuore, dove la violenza sia bandita e dove le emozioni possano prendere il sopravvento. Golden Sky Stories (titolo originale Yuuyake Koyake) è un gioco adatto a quel tipo di momenti, in cui la vita di tutti i giorni si ammanta di piccoli elementi magici che la rendono un po' più meravigliosa. Parla di creature magiche chiamate henge, animali dotati di poteri spirituali in grado di parlare e di prendere temporaneamente le sembianze di esseri umani. Gli henge sono eroi, ma non salvano il mondo con le spade né aiutano le persone con la magia: risolvono problemi seguendo il loro cuore. 

Ovviamente saranno i giocatori a controllare questi buffi esseri, scegliendo un animale tra volpi, procioni, cani, gatti, conigli o uccelli. Il loro compito sarà quello di risolvere i problemi di una stramba e folle città, Hitotsuna, e per farlo avranno dalla loro i loro poteri, la loro ingenuità e i loro forti legami d'amicizia. Ogni Henge ha sia dei difetti che dei punti di forza, diversi per ogni tipo di animale (ognuno ha dei poteri tipici; la volpe per esempio soffia fuoco, il procione può trasformarsi in mostro, ecc.), e dei punteggi da distribuire tra i quattro attributi, che sono henge (le abilità magiche e il legame con gli amici), animale (le capacità fisiche), bambino (la capacità di esprimere le emozioni e di infondere tenerezza) e adulto (nascondere le emozioni e saperle decifrare). Inoltre, ogni henge può trasformarsi sempre in un'unica forma umana, con i suoi vestiti e il suo aspetto particolari, che vanno scelti.

Una volta creato l'henge, ogni giocatore presenta il proprio personaggio e lo lega agli altri. Ogni connessione (roba tipo famiglia, fiducia, rivalità) ha delle proprietà meccaniche e numeriche ed è importantissima ai fini del gioco. Infine si aprono i turni delle scene. Come quasi ogni gioco giapponese, anche Golden Sky Stories è suddiviso in scene, le quali sono in numero finito deciso dal Narratore e sconosciuto ai giocatori. È quindi necessario cercare di dare il massimo in ogni scena. All'inizio ogni henge riceve punti wonder e feeling in base alle proprie connessioni o a quelle che gli altri hanno su di lui, indispensabili per usare determinati poteri, e durante le scene può compiere azioni (alcune delle quali richiederanno delle prove) o dialogare con gli altri (pg e png, cosa che potrebbe permettere di creare nuove connessioni). Qualsiasi giocatore inoltre può donare sogni a un altro giocatore (Narratore compreso) come segno di apprezzamento per ciò che ha fatto in gioco, cosa che salda ancora di più le connessioni reciproche. Va detto inoltre che i feelings possono essere usati per aumentare i propri attributi per una particolare prova.

Esistono inoltre azioni da compiere tra le scene, come cambiare le connessioni o rafforzarle, oppure imprevisti che capitano quando un umano scopre la vera natura di un henge. Il manuale spiega benissimo anche i compiti del Narratore, il quale deve creare la città in cui si giocherà (niente è lasciato al caso, tutto è guidato) e gli agganci di una storia in cui qualcuno è messo nei guai da qualcosa. Questo qualcosa non è mai un elemento malvagio, ma un imprevisto o un elemento della vita di tutti i giorni che diventa problematico. Salvare qualcuno, qua, ha tutto un altro significato rispetto ai classici gdr.


Meikyuu Kingdom

Autore: Kawashima Touichirou
Master: sì
Numero giocatori: 3-6
Durata: one shot o poche sessioni
Preparazione: 
Lingua: inglese (non ufficiale), giapponese

Consigliato se: volete un fantasy dal tono molto jrpgesco dove svuotare dungeon ma, allo stesso tempo, gestire un regno con un approccio quasi gestionale; se siete alla ricerca di un fantasy atipico nel suo approccio al dungeon crawling. 


Duemilaequalcosa anni fa il mondo era un paradiso magico e incantato, dove i regni vivevano in armonia e le persone utilizzavano la magia per migliorare la loro esistenza. Un terribile cataclisma però rovesciò completamente le regole del mondo, trasformandolo in una landa pericolosa popolata da mostri e avversità, Million Dungeons: un dungeon perenne in terra, cielo e mare. Pochi umani coraggiosi sono riusciti a farsi strada tra i mostri e a edificare dei regni dove sia possibile vivere in relativa tranquillità, sempre con la paura di incontri terrificanti. Qui è dove inizia l'avventura di Meikyuu Kingdom, diviso in maniera interessante tra due nature: la parte del regno e quella del dungeon (splittate in due manuali dedicati). 

La parte del regno vede i giocatori alle prese con la gestione del proprio angolo tranquillo: bisogna pensare a espandersi, a rendere felici le persone, a difendersi e a migliore economia e produttività. Tutta questa parte, probabilmente la più intrigante, ricorda tantissimo un gestionale, ma con una preponderante natura ruolistica. Si parte con una piccola nazione di 50 abitanti, che dovrà destreggiarsi anche con i rapporti diplomatici con le altre. La si deve creare assieme compilando l'apposita scheda del regno, con voci come qualità della vita, cultura, ordine pubblico, potenza militare (con dei punti da distribuire, ovviamente). O ancora budget, popolazione massima, ambiente, vox populi, ecc. Esiste anche una mappa del regno suddivisa in strutture. Si parte con tre strutture, tra cui il palazzo reale, per poi espanderle mano a mano che il regno acquisisce potere, territori e ricchezze. 

Uno dei modi principali per avere le risorse necessarie è, purtroppo, avventurarsi nel dungeon che è il mondo esterno, uccidere i mostri e prendere loro ciò di cui abbiamo bisogno. Dopo aver creato il regno quindi si creano i personaggi principali, scegliendone la classe (roba da jrpg come cavaliere, nobile, ninja, ecc.), il mestiere (astrologo, evocatore, cacciatore, cuoco, ecc., anche qui roba da jrpg), legandoli ad importanti ruoli all'interno del regno e prendendo uno dei tanti background proposti, i quali hanno agganci narrativi e meccanici e forniscono la missione del personaggio. 

Ogni partita è suddivisa in quattro fasi: la fase di preparazione, in cui si creano personaggi e regno; la fase del regno, in cui il GM provvede a inserire un aggancio per l'avventura e i personaggi si preparano per abbandonare il regno e provvedere alla loro assenza con difese o altro; la fase del dungeon, dove, neanche a farlo apposta, si esplora, si combatte e si prendono tesori ed equip dai mostri; infine, la fase finale, dove si torna a casa e si spende ciò che si è vinto per migliorare il regno. Durante l'azione esistono quattro tipi diversi di mosse, tra cui supporto, pianificare, aiutare e interrompere, tutte lunghe da spiegare in questa sede. Come potete intuire si tratta di un gioco abbastanza complesso e pieno di cose ed è difficile farvene un riassunto coerente. Se vi intrigano le premesse vi consiglio di andare a leggervi il regolamento, tanto è tutto gratis (dato che si tratta di una traduzione non ufficiale). La cosa che vi posso dire è che mi ricorda alla lontana quel fighissimo gioco che  Blades in the Dark


Nechronica

Autore: Ryo Kamiya
Master: sì
Numero giocatori: 3-6
Durata: one shot o poche sessioni
Preparazione: 
Lingua: inglese (non ufficiale), giapponese

Consigliato se: amate tematiche gore, splatter e horror e vi intrigano i mondi post-apocalittici pieni di zombie e mostri; se vi piace l'idea di giocare nei panni di ragazze zombie fortissime il cui scopo sarà quello di rimanere umane sconfiggendo zombie e lottando contro la piaga che ha mandato in vacca il mondo; se amate i combattimenti tattici e particolarmente elaborati.


Il tempo degli uomini è ormai arrivato alla sua conclusione e gli esseri umani sono non morti senza coscienza, spesso mostruosamente mutati, che camminano per il mondo, rianimati da terribili nanomacchine. Rimangono solo strani esseri, incapaci di morire, ragazze così sfortunate da possedere ancora un cuore e una coscienza: le bambole. Si tratta di ragazze zombie che combattono altri zombie, riportate in vita dal necromante, colui che ha dato il via a questa apocalisse. I giocatori impersoneranno il ruolo di queste bambole, rigorosamente di sesso femminile, nella loro lotta per la sopravvivenza e il destino del mondo contro il necromante. Il necromante però è anche il GM del gioco, un avversario potente contro cui le bambole dovranno scagliarsi, alla fine.

Tutte le bambole dei giocatori, e questo è importante sottolinearlo, vengono chiamate tra loro sorelle, poiché tornate in vita nel medesimo istante o in posti vicini. Queste hanno perso quasi del tutto la memoria della loro vita passata, ma non completamente. Rimangono loro frammenti di memoria, i quali vengono creati tirando casualmente 1d10, oppure riemergeranno lungo il gioco sotto forma di premonizioni (c'è una meccanica apposita). Esistono sei tipi diversi di bambole, ognuna suddivisa per personalità; si tratta di archetipi che elargiscono anche poteri e abilità. Ogni bambola ha inoltre una classe ben precisa: sono sette, tutte goticamente inquietanti, dalla bambola mutante a quella cannibale, dalla pistolera alla dea della battaglia.

La personalizzazione del personaggio risulta abbastanza complessa, perché oltre alle normali skill è possibile spendere punti per rinforzare il corpo di una bambola con equipaggiamenti, armi, parti meccaniche o mutazioni. Ma a parte questi numeretti, la parte più vitale di una bambola sono i suoi legami (o catene), il motivo per cui il suo cuore è rimasto umano. Uno di questi è automatico (il loro cuore), mentre gli altri riguardano le altre sorelle e sono da scegliere da una lista, dato che ognuno dona dei bonus meccanici unici e utilissimi.

Meccanicamente parlando, Nechronica dà tantissimo peso alla parte di combattimento tattica, dove si utilizza una mappa di battaglia e in cui le azioni dei personaggi sono suddivise in varie manovre, che in qualche modo ricordano le mosse dei PbtA ma che se ne distanziano anche immensamente in quanto molto meccaniche, e dove i vari avversari, bambole comprese, possono essere danneggiate mirando a specifiche parti del corpo, cosa che in questo universo ha un'importanza vitale.

Il ruolo del Necromante prende il via subito dopo la creazione dei personaggi (c'è un bel capitolo dove nulla viene lasciato al caso). Suo compito è quello di impostare la battaglia della sessione, dato che ogni partita si concentra su uno scontro principale. Tutta la partita si divide in tre fasi: la fase d'avventura, in cui le bambole cercheranno di ottenere i loro obiettivi, parleranno tra loro e supereranno ostacoli; la fase di battaglia, da vincere ottemperando alle condizioni di vittoria dichiarate apertamente dal GM; la fase finale, che conclude la partita e in cui le bambole ripareranno le loro parti e porteranno avanti i loro legami.


Ryuutama

Lo trovate qui
Autore: Atsuhiro Okada
Master:
Numero giocatori: 3-6
Durata: one shot o poche sessioni
Preparazione:
Lingua: inglese, giapponese


Consigliato se: vi piace l'idea di giocare non possenti guerrieri o maghi invincibili, ma contadini, menestrelli, guaritori, alle prese con un viaggio bucolico e fantastico irto di pericoli e meravigliose scoperte. Se amate le opere di Miyazaki, i jrpg alla Dragon Quest e vi piacciono le storie piene di quel senso di meraviglia, pace e armonia che in Giappone viene chiamato honobono.


Ryuutama significa "uovo di drago": viaggiatori intraprendono un viaggio e le loro storie vengono registrate da misteriosi osservatori draconici. Sono i Ryuujin, i quali donano l'essenza delle storie ai Draghi Stagionali, dispensatori di forza, di aiuti per crescere e rinnovatori del mondo, stagione dopo stagione.

Questo l'incipit di Ryuutama, un jrpg "natural fantasy", come viene chiamato dal suo stesso autore, in cui, in un medioevo fantasy affine a quello di molti jrpg da console (vedere Dragon Quest o i primi Final Fantasy), alcune persone sentono il bisogno di partire per un viaggio fantastico. È un gioco incentrato sul viaggiare, appunto, sull'esplorazione, l'amicizia, la crescita e l'armonia, e sebbene sia presente un ottimo sistema di combattimento molto ispirato a Dragon Quest, il menare le mani non è il fulcro dell'esperienza. Le avventure comportano il viaggio da una città all'altra e si focalizzano sulla condivisione delle esperienze, sulla cucina, sul comprare strani nuovi oggetti, sul perdersi lungo sulla strada e sull'incontrare difficoltà e (a volte) mostri. Il tono del gioco è molto Miyazakiano, con un forte senso di meraviglia e scoperta, e la fase di creazione del mondo è collaborativa e condivisa (attraverso una procedura molto bella che richiede di rispondere ad alcune domande specifiche).

La scheda del personaggio è allo stesso tempo molto semplice e completa, e prevede una manciata di statistiche. Per superare le sfide di solito si tira su due di esse, con il GM che annuncia pubblicamente la difficoltà da battere (per esempio una difficoltà di 7 per superare un burrone saltando). Esistono quattro classi principali: Menestrello, Guaritore, Mercante e Cacciatore, con tre classi addizionali: Artigiano, Contadino e Nobile. Ogni personaggio ha un oggetto unico, che ci racconta la sua storia, e può scegliere tra tre specializzazioni: Attaccante, Tecnico e Mago, dato che ogni classe può eccellere nelle tre cose in base a quale ramo di specializzazione si sceglie. Il grosso dei punti esperienza (per i level up) si acquisisce tramite l'esplorazione, superando ostacoli lungo la via, collezionando oggetti e aiutando persone in difficoltà, e solo una piccola parte battendo i mostri. Esiste un semplice sistema di combattimento, con una plancia di battaglia molto schematica e astratta che ricorda lo schema tipico dei jrpg alla Dragon Quest, ma per come funzionano le battaglie queste risultano abbastanza sconsigliate.  

Uno degli elementi più singolari è il Ryuujin, ossia il personaggio del GM. Esistono quattro tipi di Ryuujin, con la loro scheda, le loro abilità e il loro equipaggiamento tipico, i quali cambiano in qualche modo alcune delle regole del gioco; il grosso del tempo il Ryuujin se ne sta appartato, un silenzioso compagno che di solito si rivela ai personaggi solo verso la fine della partita. Il Ryuujin è li a dare un po' di supporto ai giocatori, nonostante il ruolo principale del GM sia di dispensare avversità. 

Ovviamente ci sarebbero ancora tante cose da dire sul gioco, come l'uso peculiare delle condizioni per descrivere lo stato d'animo dei personaggi, l'equipaggiamento condiviso da tutti, e così via, tutte scelte molto tematiche per ricreare un certo tipo di esperienza. 


Shinobigami

Autore: Touichirou Kawashima
Master: sì
Numero giocatori: 4-6
Durata: 3-4 ore o più partite episodiche 
Preparazione: 
Lingua: inglese, giapponese

Consigliato se: vi affascinano i giochi con una forte componente pvp, con una struttura narrativa suddivisa in scene di vario tipo. Se vi piacciono i giochi competitivi però con un livello di complessità medio/basso, molto coreografici e rapidi da giocare. Infine, se vi piace l'idea di tante storie episodiche legate tra loro.


In America, e in generale in occidente, il gdr più giocato è senza dubbio D&D. In Giappone no. In Giappone probabilmente si tratterebbe di Shinobigami.

Parliamo di un gioco ambientato in una strana versione del Giappone moderno, in cui misteriosi clan ninja (shinobi è un altro modo di dire ninja) governano dall'ombra, nascosti al mondo. Esistono sei clan differenti, ognuno con i suoi specifici obiettivi e i suoi punti di forza e di debolezza, come il clan votato alla scienza, quello versato nelle arti mistiche, quello che addestra la futura elite del paese, ecc. I vari clan intessono alleanze, dichiarano guerre e tutto questo viene bilanciato e sbilanciato da tutta una serie di eventi, scelte e amicizie. L'evento più importante è l'imminente avvento dello Shinobigami (letteralmente "dio degli shinobi"), temuto o desiderato in maniera diversa dalle varie fazioni. Cosa sia esattamente, se un vero e proprio dio o demone, una pericolosa linea di sangue, un'idea virale, un maestro ninja profetizzato o un'arma di distruzione di massa, è una verità che verrà sancita direttamente in gioco quando la questione diverrà fondamentale.

Prima dell'inizio di una sessione, una volta che i giocatori hanno i loro personaggi, il GM distribuisce loro una scheda con la loro missione e le carte con i segreti. In questa prima fase di introduzione ogni giocatore, a turno, presenta il proprio personaggio e rivela la propria missione a tutti. Il GM invece introduce i png e lo scenario. Si passa quindi, in successione, alle tre fasi: main, climax ed ending. Nel main ogni giocatore gioca una scena personaggio, di cui ne esistono due tipi: di combattimento e dramma. Quest'ultima prevede di creare dei legami, scoprire il segreto o la location di un altro personaggio o recuperare punti vita (il tutto dopo aver tirato i dadi su una specifica tabella); la scena di combattimento invece, come suggerisce il nome, prevede le botte. Si tratta di scene rapide, veloci e coreografiche e di solito si finisce abbastanza in fretta con qualcuno al tappeto.

Una volta giocate un certo numero di scene si passa alla fase di climax, in cui si rivelano le alleanze e i segreti e in cui prende il via la mega battaglia finale, l'unico momento in cui i personaggi giocanti possono essere uccisi. Si tratta di un gioco incentrato principalmente sul pvp, quindi l'eventualità non è rarissima. La successiva ending phase porta alla chiusura del gioco in base ai risultati della fase precedente, spesso presagendo a un continuo della storia in una serie di vari scenari legati tra loro in una storia episodica.

Tutto ciò che conta nel gioco ha una scheda. Ogni personaggio ha una lista di abilità suddivise in colonne (tech, arti marziali, strategia, stealth, conoscenze e stregoneria), dalle quali sceglie un certo numero in base al clan di appartenenza. Di solito le scene richiedono un unico tiro di abilità, in base all'azione che si compie e al contesto. Esiste una specifica scheda anche per le relazioni, importantissime ai fini del gioco poiché foriere di informazioni essenziali, come le location o i vari segreti (che ogni giocatore possiede sotto forma di carte).


Tenra Bansho Zero

Autore: Junichi Inoue
Master: sì
Numero giocatori: 4-6
Durata: 1-2 sessioni
Preparazione: 
Lingua: inglese, giapponese

Consigliato se: siete tamarri nell'anima e desiderate giocare in un setting iper asiatico pieno di tutto ciò che il sol levante ha da offrire; amate i regolamenti corposi ma allo stesso tempo scritti bene, dove si mena ma si esplorano anche drammi umani tra personaggi esagerati alla Kenshiro; se non vi spaventano libroni corposi da 300 pagine. 


Assieme a Ryuutama è uno dei giochi giapponesi più conosciuti in occidente, praticamente una summa esagerata e iper asiatica del design giapponese e del modo nipponico di intendere i giochi di ruolo, nonché vera rivoluzione alla fine degli anni '90 (la prima edizione è del '97). Tenra Bansho Zero si ambienta in un mondo in tumulto, Tenra, molto simile al Giappone feudale di epoca Sengoku, in cui i vari padroni feudali (daimyo) si davano guerra per impadronirsi della guida del paese come shogun; immaginate uno scenario simile, ora traslatelo anni avanti nel futuro, dove armature tecnologiche animate da spiriti e la magia shintoista più incredibile sono le armi dello sterminio.

Per quanto il manuale dia grossi spunti sul mondo di Tenra, sulle fazioni e sui suoi pericoli, il grosso è lasciato al GM e ai giocatori, che collaborativamente, durante il gioco, aggiungeranno pezzi all'enorme mosaico di Tenra. Nonostante il gioco sia pieno di regole corpose, la creazione dei personaggi risulta relativamente snella. I giocatori non devono far altro che scegliere uno dei vari archetipi e compilarli, con roba come samurai con gemme magiche incastonate nella carne, orfanelli che pilotano potentissimi mecha robotici, maghi onmyoji evocatori di spiriti, shinobi manipolatori di ombre e altre cosucce altrettanto sobrie. Una volta creati i personaggi si entra subito nel vivo, grazie a un regolamento che spinge molto sul dramma ipercinetico e sull'esplorazione dei personaggi.

Fondamentale è il fato, una specie di obiettivo del personaggio che incorpora credenze, legami e storie passate, cose come "trova il significato della vera forza" oppure "segui le leggi del Budda".  Il fato non è solo un abbellimento, ma ha anche un rilievo meccanico. Oltre al fato, entrano in gioco dei paricolari punti chiamati aiki, premi per una buona giocata, i quali però non vengono dispensati dal GM ma da tutti i giocatori al tavolo (molto simili alle fanmail di Avventure in Prima Serata, ma inventata 7 anni prima) e servono per aumentare statistiche, tirare più dadi od ottenere speciali effetti coreografici, venendo così convertiti in kiai.

Esistono inoltre una sere di meccaniche per aiutare la creazione di una storia. Quando il GM introduce un nuovo png, i vari giocatori che lo incontrano tirano su una tabella per ottenere dei legami casuali con esso, con un sistema esagerato (impression roll) che simula la fiction di manga come Kenshiro (e che può venire discusso con il GM per ottenere i migliori risultati, o cambiato spendendo punti bonus). Può quindi capitare che il samurai di turno si innamori a prima vista della principessa del regno avversario.

Ultimi interessanti elementi da menzionare sono Karma e Asura. Copiando il manuale: se Tenra fosse ambientato nel mondo di Star Wars, l'Asura sarebbe il corrispettivo del lato oscuro della forza. Il karma invece, forza invisibile che permea ogni cosa, dona punti ogni qualvolta i personaggi perdono la speranza, non riescono a raggiungere i loro obiettivi o sono così guidati dalle emozioni da risultare schiavi del mondo materiale. Una volta raggiunti 108 punti (il numero dei peccati umani nella teologia buddista) i personaggi diventano degli Asura e vengono definitivamente persi, demoni infernali temuti da tutte le persone di Tenra. Ovviamente ho omesso tutta una serie di altre meccaniche, le quali propongono anche un interessante sistema di combattimento molto affine alla classica esperienza di un manga shōnen e una suddivisione narrativa in scene, atti e finale drammatico (tipica di moltissimi giochi giapponesi).


Al di là di questi consigli esistono altri giochi tradotti in inglese, ma siccome ho dovuto fare una cernita alcuni sono rimasti fuori. Sono tutti tradotti in inglese quindi vale la pena parlarvene velocemente.

Merita una menzione il corposissimo Sword World 2.0, gioco dal forte appeal tradizionale, un fantasy con decisi elementi jrpg e un approccio D&Desco. Vista la data di uscita della prima edizione, il 1989, la cosa non stupisce affatto; si tratta infatti di uno dei primi TRPG mai scritti.

Un altro gioco non menzionato prima è Log Horizon, una specie di D&D4 mangoso, fatto meglio e più focalizzato sulla fiction, dove ovviamente non ci si risparmia nel menare le mani. Si tratta di un gioco intrigante, ovvio, ma dato il suo essere molto simile a ciò a cui siamo già abituati, ho preferito soffermarmi su altro.

Infine, non posso non citare Maid, il primissimo TRPG a venire tradotto in inglese (battendo sul tempo Tenra Bansho Zero). Si ispira ai manga commedia leggeri, in cui sexy e poppute domestiche devono salvare il loro padroncino da dei ninja cattivi che lo hanno rapito, oppure da un meteorite che sta per abbattersi sulla Terra, oppure da un gigantesco robot che minaccia la città e altre amenità simili. Eh sì, lo so... in effetti potevo inserirlo tra i 7 giochi più in alto.

FONTI

AMA with Andy Kitkowski and Matt Sanchez