mercoledì 18 ottobre 2017

Perché il GDR rimarrà sempre un passatempo di nicchia

Quante volte avete letto o sentito i giocatori di ruolo lamentarsi della poca attenzione riservata dal grande pubblico al loro passatempo? Quante volte si è parlato di estendere l'hobby a chi (ancora) non gioca? Quante volte ci si è lamentati dell'età media dei giocatori senza che ci sia un ricambio generazionale? Quante volte?

Tante, troppe. Sappiamo tutti che il gioco di ruolo è un hobby complicato, di nicchia, decisamente meno popolare di quanto crediamo e difficile da sdoganare agli occhi di chi non lo conosce. Trent'anni fa era considerato un passatempo da nerd sfigati asociali, nomea che bene o male ancora oggi fatica a scrollarsi di dosso. I motivi sono tanti, e li esamineremo assieme in quanto problemi intrinsechi del media, ma oltre a questi c'è anche il peso delle nuove tecnologie, che hanno reso la fruizione dei passatempi decisamente più rapida, facile e usa e getta. I videogiochi riescono a fare quello che in passato solo i gdr potevano, e lo fanno meglio e più facilmente, e così il gdr non trova spazio nel cuore di nuovi appassionati. 

In questo articolo analizzerò quelli che, per me, sono i problemi maggiori del media "gioco di ruolo"; quelle caratteristiche che ad oggi rappresentano un muro che impedisce al gdr di uscire dalla piccola nicchia di appassionati che, anche in questo periodo di boom della cultura nerd, fatica così tanto a crescere. Sono problemi generali che alcuni giochi hanno in parte già corretto, ma che rimangono ancora diffusissimi e quindi attuali. Elencarli è per me un modo per spingere la comunità estesa, composta da giocatori e designer, a riconoscerli e, dove possibile, correggerli.

Il manualone da ventordici pagine

Adesso le cose stanno cambiando da questo punto di vista, ma troppo poco, troppo tardi e troppo lentamente. La fuori la maggior parte dei manuali di gioco sono tomoni spaventosi che se va bene hanno almeno un centinaio di pagine e se va male ne hanno più di 300. E non parliamo solo di giochi tradizionali mainstream, come per esempio D&D 3.5 che all'epoca vantava tre manuali base formato A4 da 300 pagine l'uno, o 7th Sea, il cui recente manuale base in A4 ne consta sempre 300, ma anche di giochi più indie. Anche Fate Base tocca le 300 pagine, e il Powered by the Apocalypse medio, se pure nel più piccolo formato A5, non è quasi mai sotto le 100-200 pagine, toccando anche le 300 e più (la seconda edizione italiana di Dungeon World ne ha 526). 

Ovviamente sia in campo tradizionale, sia specialmente in ambito non tradizionale, esistono esempi virtuosi di giochi contenuti in manuali molto più piccoli, molto più snelli e molto meno spaventosi (si possono fare tanti esempi, quindi soprassiedo o facciamo notte), ma rimaniamo quasi esclusivamente nell'ambito delle produzioni indipendenti, quindi lontanissime dai riflettori. E ovviamente, anche molti di questi giochi più magri hanno comunque un numero relativamente corposo di pagine da studiare.

Ma perché è un problema? Perché, semplicemente, la gente non legge. L'idea di aver bisogno di un libro, per poter giocare, e di doverlo leggere tutto e specialmente studiare (parola che provoca convulsioni a più di metà della popolazione mondiale), spaventa moltissime persone, tant'è che persino i giocatori appassionati tendono a non studiare i manuali e a delegare la cosa a solo una o due persone al tavolo. Dite a un curioso possibile giocatore che per giocare ha bisogno di studiare un malloppone di 300 pagine e 2 volte su 3 scapperà via a gambe levate. Si tratta di una dura selezione all'ingresso che lascia entrare nell'ambiente solo pochissimi interessati.

Il problema è senza dubbio difficile da correggere perché, come vedremo anche negli altri punti, i
regolamenti dei giochi di ruolo sono complicati e hanno bisogno di molte spiegazioni, tutte cose che rubano spazio; inoltre, il giocatore medio è restio ad abbandonare il feticcio "manuale ciccione pieno di illustrazioni", premiando con l'acquisto i titoli corposi e penalizzando invece i prodotti che tentano di distaccarsi dal modello standard. 

Rimanendo a solo questo primo punto, il modo di risolvere l'annosa questione sembrerebbe non solo la riduzione delle pagine dei manuali, ma l'abbandono (persino totale) del formato libro in favore di formati più facili da esperenziare, meno spaventosi e più multimediali. L'idea sarebbe anche quella di ridurre il tempo di lettura necessario, magari facendo in modo di rendere il gioco immediato, leggendo il manuale direttamente in partita mano a mano che si gioca (come fanno giochi come Fantasmi AssassiniS/lay w/Me). Non tutti i giochi di ruolo però possono piegarsi a questo tipo di soluzioni. 


Le difficoltà logistiche

Ammettiamolo, organizzare una partita o addirittura una campagna gdristica non è la cosa più semplice del mondo. Bisogna trovare qualche disperato disposto a giocare con noi, avere un luogo tranquillo e abbastanza spazioso dove giocare, tempo prezioso da dedicare all'hobby e riuscire a far coincidere le tre cose per i giusti giorni della settimana. E se poi a Tizio non piace quel gioco e ne preferisce un altro che invece Caio proprio non sopporta? E se poi Sempronio ha un nuovo lavoro e sono più i giorni che non c'è di quelli in cui c'è? E se il Master ha adesso un pargoletto e ha sempre meno tempo di giocare? E se a casa di Lucia non possiamo più giocare perché ci sono dei lavori? E se Pippo mi sta sul culo e se c'è lui io non vengo più?

Il gioco di ruolo è un gioco sociale, questa è la sua grande forza ma allo stesso tempo la sua debolezza. Più di altri giochi di società necessita di un gruppo coeso negli intenti e di molto tempo a disposizione, tutte cose molto rare e sempre più difficili da reperire. È una peculiarità che pure in gruppi rodati causa spesso litigi, problemi di organizzazione e la morte di molte campagne, ma che con novizi può diventare un muro difficile da valicare. Immaginate un ragazzino che propone D&D agli amici, quando con videogiochi come League of Legends è possibile giocare con altre persone accendendo il PC e connettendosi a internet. Basta premere un tasto, mentre con D&D è necessario organizzare, trovarsi, mettersi d'accordo, spiegare, preparare. Ci sono persone che abitano in culo ai lupi e nei loro dintorni non trovano nessuno con cui giocare, e altre che tra lavoro, famiglia e impegni vari non riescono ad avere il tempo per una sessione settimanale fissa. 

Inoltre il gioco di ruolo è un gioco con intenti creativi, che necessita  le giuste persone sulla giusta lunghezza d'onda. Le agenda clash, con gente che vuole A e gente che invece vuole B sono all'ordine del giorno con molti giochi, e questo può spezzare velocemente in due un gruppo che sembrava rodato. Quante volte avete sentito di problemi interni a gruppi, con gente che si lamenta dei compagni di gioco che giocano male, di nuovi arrivati che hanno distrutto l'equilibrio creato in anni di gioco o roba del genere? Sono tutte cose che spaventano e allontanano un novizio, e possono far smettere di giocare anche i veterani (succede più spesso di quanto si creda). 

Come risolvere questi problemi? Credo che uno dei modi sia scrivere giochi più rapidi, che
Roll20 è, tra le tante, una piattaforma ottima per
giocare di ruolo online.
richiedano poche persone per giocare (ma in realtà anche tante persone), possibili da sfoderare a una cena con amici o a un party e molto più chiari sugli intenti. Chiaramente non dico che TUTTI i giochi dovrebbero essere così, ma di sicuro ce ne vorrebbe qualcuno in più. Per il resto, l'essere un gioco sociale è una delle caratteristiche base del gdr, quindi non si può correggere. È per quello che lo amiamo. Un altro modo è quello di dare più spazio alle nuove piattaforme online, dov'è possibile giocare da qualsiasi punto del globo e con un'utenza enorme potenzialmente interessata a qualsiasi cosa. Io stesso gioco spesso in videochat, e mi trovo davvero bene, ma noto che moltissimi sono ancora restii a dare una possibilità a questo tipo di soluzione.


I regolamenti dei giochi

Questa è la scheda del personaggio di Dungeons & Dragons 5° edizione:
Piena di numeretti e calcoli da fare, che sì, sono semplici e tutto quello che volete, ma sono spaventosi per chi non è un appassionato. E poi c'è un elenco bello ciccione di talenti e armi da scegliere, mostri, possibilità, bonus, malus, build da preparare, cose da studiare, ecc. Anche se decisamente più snello che in passato, D&D 5 rimane comunque un malloppone.  Lo so che per alcuni giocatori di ruolo è anche sin troppo dimagrito, ma vi assicuro che per la gente la fuori è davvero troppa roba. 

La matematica spaventa la gente, prendetene atto. Ma anche tutto il resto dei regolamenti è pensato in modo tale da scoraggiare l'utente casuale. Non mi riferisco solo alla complessità matematica, con giochi dove creare il personaggio equivale a compilare il modulo del 730, ma al modo in cui i regolamenti vengono scritti e pensati. Da una parte abbiamo i giochi tradizionali, che non ti spiegano precisamente come giocare ma si limitano a dirti come creare i PG e le avversità e lasciano al GM l'onere di condurre il gioco, dall'altra giochi non tradizionali che devono spendere molte parole per spiegare procedure di gioco particolari che non sempre sono semplici da interiorizzare.

Nel primo caso, lasciare tutto al GM porta a problemi chiarissimi al tavolo di gioco, visto che un bravo GM non lo vendono con il manuale e di sicuro un giocatore novizio faticherà a capire come gestire una partita se nessuno glielo spiega come si deve. So che per molti non sarà un problema, ma in realtà lo è. Prendete una serie di giochi di ruolo diversi, fateli leggere a dei totali novizi e poi chiedete loro cosa ne hanno capito. Scommetto quello che volete che capiranno poco o nulla e non saranno in grado di giocare da soli.
Fiasco è uno dei giochi più entry level
che esistano, eppure non so quanto
un novizio totale possa riuscire a
giocarci dopo aver letto il manuale, senza
avere un facilitatore.
 Non è semplice, perché se lo fosse non esisterebbero miliardi di articoli e video che con fare da guru tentano di spiegare alla gente come fare il duro mestiere del GM (o addirittura del giocatore). La prima volta che lessi D&D non ci capii una fava e dovetti affidarmi cuore e anima al GM di turno, che ovviamente mi insegnò il suo modo di gestire D&D

Moltissimi giochi non spiegano come dovrebbero essere giocati, dando per scontato che i giocatori già sappiano cos'hanno tra le mani e che useranno il loro modo rodato di condurre una partita. Si danno per acquisiti nozioni e modi di fare che invece sono ampiamente tribalizzati e che un novizio non può conoscere.

Il modo migliore per aggiustare il tiro è senza dubbio quello di rendere i regolamenti più user friendly. semplici e snelli, spiegando in maniera chiara le procedure di gioco (che sono regole a tutti gli effetti), ma in modo che chiunque, dal veterano alla più inesperta nuova leva, possano capirle. Questo purtroppo non avviene quasi mai, nemmeno con giochi che spendono tempo e fatica per rendere oggettive e chiare tutte le procedure, e che purtroppo continuano a necessitare di un facilitatore che introduca i nuovi giocatori al regolamento. Invece dovrebbe essere un imperativo; dovrebbero esistere molti più giochi possibili da giocare subito da chiunque, e molti meno giochi per soli esperti smanettoni. 


L'impegno richiesto

Anche il gioco più snello e veloce del mondo richiede tanto impegno. Non è come con un videogioco, dove lo accendi, prendi in mano un pad e stai sparando come un matto; devi impostare il tavolo con tutto il materiale giusto, preparare personaggi e a volte grossi pezzi di ambientazione e partita, capire le regole mano a mano facendo spesso errori nel processo, impegnarti attivamente dando spunti e idee, investire molto tempo per una sessione e, spesso, se sei il GM, preparare molto materiale tra una sessione e l'altra. 

Il gioco di ruolo, anche quando si parla di giochi rapidi e veloci, è un tipo di attività lenta e riflessiva, che richiede un certo investimento intellettuale, vero sia per giochi tutti improntati alla narrazione, sia per giochi tattici e simulativi. Per sua natura è un passatempo che richiede di mettere in moto le sinapsi, spesso anche pesantemente, visto che alcuni regolamenti sono molto complicati oppure richiedono un certo quantitativo di errori per essere appresi come si deve. Può capitare che si inizi a giocare in maniera consapevole solo a partire dalla seconda o terza sessione, ossia dopo svariate ore di gioco. Inoltre, per sua natura il gioco di ruolo richiede un certo sforzo creativo, che non tutti possono o sono disposti a fare. 

C'è modo per correggere il tiro? Probabilmente no, se non rendendo i giochi più semplici e immediati, possibili da giocare senza perdere tempo in preparazione e privi di complicati calcoli. Di base però ci vorrà sempre un certo grado di impegno, intrinseco nel media, quindi credo bisognerebbe scendere a patti con l'idea che i giochi di ruolo sono per loro natura giochi complicati, non adatti a un pubblico vastissimo ma solo a determinate categorie di persone. D'altronde, nemmeno gli scacchi e la settimana enigmistica sono per tutti.



Il target di riferimento

Provate ad elencare i giochi di ruolo più famosi e mainstream e ditemi un po' di cosa parlano. Draghi, elfi, combattimenti, mostri, mondi dark e oscuri, post-apocalissi varie, e ancora combattimenti, mostri, qualche sparuto supereroe, astronavi, di nuovo draghi... 

Sono prodotti per nerd, da lì non si scappa. E non parlo solo delle ambientazioni e delle tematiche, ma anche dei regolamenti complicati e dell'impostazione stessa dei giochi. Sono pensati per un pubblico preciso, ossia appassionati di generi come fantasy, horror e fantascienza, interessati alle armi e al combattimento e di base propensi al collezionismo. Ma è davvero l'unico target possibile? No, ovvio che no. Quindi non sarebbe saggio iniziare a considerare l'idea di ampliare il target diversificando l'offerta ed esplorando nuove tematiche e nuovi approcci? Vi svelo un segreto: è stato fatto e continua a essere fatto.

L'ambiente indipendente è pieno di titoli insoliti che trattano tematiche diverse dai classici quattro cliché nerd, a volte anche addentrandosi in tematiche sociali, amorose e di tutti i giorni. Ci sono giochi in cui si interpretano persone comuni e non avventurieri o pistoleri; giochi in cui non ci sono quest epiche ma problemi quotidiani o importanti; giochi in cui c'è spazio per l'amore romantico, il sesso, la denuncia sociale e gli ultimi. Giochi, però, che rimangono nella nicchia di una nicchia e faticano a trovare un pubblico più ampio. 

Qual è il problema, allora? Da una parte, senza dubbio, la mentalità del giocatore medio, così attaccato ai suoi temi classici da faticare ad accettare nuove possibilità tanto da scacciarle via come si scaccerebbe una mosca fastidiosa, dall'altra un enorme deficit da parte dei designer e degli editori indie nel sapersi vendere e aprire a nuove fette di mercato, continuando a proporre prodotti nell'ambiente dei giocatori storici che a quanto pare non li vogliono. 

Un gioco che potete proporre a gente che
di solito non gioca di ruolo.
La cosa necessaria da fare è scrivere giochi mirati per fette di pubblico precise al di là dei soliti nerd (i quali continuerebbero ad avere i loro prodotti), chiedendosi a chi potrebbero mai interessare i giochi di ruolo, ossia giochi che richiedono impegno e dedizione intellettuale. Insegnanti, attori, scrittori e sceneggiatori, fumettisti, videogiocatori di giochi votati alla narrazione, registi e cinefili, giocatori di boardgames, i fan duri e puri di molte serie tv e romanzi, sono tutti target potenziali, che andrebbero presi in considerazione e coltivati nel giusto modo e nei giusti spazi. Non potete proporre D&D a un cinefilo appassionato di film d'autore, ma magari potreste invogliarlo con un bel Fiasco, che però deve poter trovare nell'ambiente che frequenta, dato che difficilmente verrà a cercarlo dentro associazioni o fiere ludiche. Decisamente più facile a dirsi che a farsi, lo so, considerando poi che i target possono variare anche in base alle fasce d'età, al sesso e all'estrazione culturale. 


La cultura tribale diffusa

Sapete come la gente la fuori vede noi giocatori di ruolo? Come strani esseri che si rinchiudono in una cantina a fare le vocine e a raccontarsi di draghi e altre robe da sfigati asociali brufolosi, in una versione nerd di una setta iniziatica. Sì, lo so, sono stereotipi a palla, ma sono davvero così campati in aria? A leggere il romanzo La stanza profonda di Vanni Santoni (sulla cui bontà non mi sbilancio) non si direbbe. 

La verità è che molti gruppi di gioco sono davvero delle piccole tribù. Hanno i loro modi di giocare, i loro riti, la loro gerarchia sociale, e spesso per un nuovo arrivato è un trauma essere accettati nella tribù e, al contempo, entrare in contatto con comportamenti che possono risultare strani e scioccanti. Immaginate come tutto questo possa apparire a un novizio totale dei giochi di ruolo, quando si trova invitato a una serata di gioco e il GM di turno (o chi per lui) inizia a dettare regole strane, tutti si comportano come folli e il povero malcapitato si sente come un naufrago su un pianeta alieno. 

So benissimo che non tutti i gruppi sono così, ma sono cose davvero accadute e rimangono impresse nella mentalità comune. Conosco persone che a solo sentire nominare D&D scappano terrorizzati. Un amico totalmente a digiuno di gdr tempo fa aveva partecipato a una serata di Vampiri e il GM gli aveva fatto creare un png (senza aiutarlo per davvero nella creazione), che poi finì per essere utilizzato dal master e non dal giocatore perché, a detta sua, quest'ultimo non interpretava bene. Questo mio amico non vuole più sentir parlare di giochi di ruolo. Questa ovviamente è una singola storia, ma ne ho sentite molte altre di simili, con GM che fanno fare test attitudinali, giocatori bulli che trattano malissimo i nuovi arrivati e altri casi di nonnismo o follia.

La prima cosa da cambiare, quindi, è la mentalità del giocatore di ruolo medio. Una mentalità chiusa, snob, attaccata ai suoi feticci e spaventata da qualsiasi cambiamento. È una mentalità che premia un certo tipo di utenza e scoraggia persone con una passione meno forte e meno totalizzante, che possono sentirsi minacciate da certi atteggiamenti. Bisognerebbe aprire la stanza profonda, abbandonare la tribù ed essere molto più ricettivi verso l'esterno, adottando un approccio più "easy" (perdonatemi l'inglesismo) e un po' meno fanatico.


L'agguerrita concorrenza

Alla fine degli anni '90 la TSR, l'allora casa editrice di D&D, ebbe un duro colpo finanziario e andò in banca rotta. Il motivo principale? Magic l'adunanza. L'allora nuovissimo gioco di carte rubò una fetta così grande d'utenza che la crisì fu scongiurata solo in seguito all'acquisto della TSR da parte della Wizard (che stampava le carte incriminate) e la successiva uscita di D&D 3.0. 

Oggi succede la stessa cosa, in maniera meno drastica ma più capillare, con i videogiochi. Molti
videogiochi viaggiano nello stesso reame di molti giochi di ruolo; fanno le stesse cose, ma molto meglio e in maniera più immediata. Build, numeretti, combattimenti tattici, dungeon crawling e quest già scritte, sono cose che i videogiochi fanno benissimo, molto ma molto meglio dei giochi di ruolo. Se prima per sentirsi un eroe si dovevano per forza impugnare i dadi, adesso basta infilare un disco in una console e andare a conquistare Skyrim. Per non parlare degli MMO, o di Diablo III, o Dark Souls. Non ci sono sbatti, nessuna serata da organizzare, nessun libro da leggere e studiare. Come possono i gdr competere con tali avversari?

La risposta non piacerà a molti. L'unico modo è quello di non competere, focalizzandosi sul punto di forza più grande del gdr, che nessun videogioco può ancora imitare, nemmeno lontanamente: la narrazione emergente. In un gioco di ruolo è possibile avere risvolti imprevisti dati dalle reazioni di ogni partecipante al tavolo, cosa che nei videogiochi è ancora impossibile da ottenere. Nei videogiochi è possibile, al massimo, scegliere tra opzioni precotte oppure assistere a una storia già scritta, mentre in molti gdr la storia nasce spontanea dalle azioni e reazioni dei partecipanti al gioco. Quello che serve, quindi, sono regolamenti improntati alla creazione di una storia emergente. Le possibilità di tali giochi sono irraggiungibili da qualsiasi videogioco, data la necessità di un calcolatore potentissimo ai limiti dell'intelligenza artificiale vera e propria, roba da fantascienza per ora. Questo non vuol dire che bisogna abbandonare giochi improntati alle buil o al dungeon crawling, Dio mio no, piacciono anche a me, ma significa invece che bisogna comprendere che non si possono più trattare come cavalli da battaglia da spargere al grande pubblico.

venerdì 13 ottobre 2017

I miei consigli per gli acquisti al Lucca Comics & Games 2017

Questo che vi trovate davanti è un tipo di articolo che non avevo mai fatto, ma visto l'imminente arrivo della fiera nerd più grande e importante d'Italia, e viste anche le uscite non troppo numerose (di sicuro colpa del colosso D&D, che fa paura a tutti), mi va di consigliarvi qualche gioco che potreste voler comprare o quantomeno aggiungere alla lista dei desideri.

Sono consigli del tutto personali, quindi evitate polemiche del tipo: "hai consigliato il gioco X e non quello Y, chi ti paka?" perché non hanno alcun senso di esistere. Non si tratta nemmeno di una carrellata completa di tutto ciò che uscirà in fiera, ma troverete solo giochi che secondo me vale la pena comprare. Ovviamente non mi limiterò a lanciarvi addosso dei titoli, ma cercherò di argomentare i miei consigli in modo da darvi idee più complete. Vi propongo quindi 5 giochi che secondo me vale la pena avere nella vostra collezione. 

Pronti? Iniziamo.

AWII,  il Mondo dell'Apocalisse (2° edizione)

Autori: D. Vincent Baker, Meguey Baker
Editore: Narrattiva
Master: 
Numero giocatori: 3-5
Durata: 5-20 sessioni
Preparazione: minima
Prezzo: 24,90 €
Info editoriali: A5; BN;


Si tratta della seconda edizione di Apocalypse World (AW), o Mondo dell'Apocalisse nella traduzione italiana, un gioco che ha avuto un impatto considerevole nel panorama dei giochi di ruolo e uno di quei titoli che di sicuro avrete sentito nominare online. Per dirla tutta, roba come Dungeon World e Cuori di Mostro si basa proprio sul motore di Apocalypse World.

AWII riprende in toto il tono e le ispirazioni della prima edizione: in un mondo post-apocalittico 50 anni dopo il disastro, il mondo è un puttanaio senza status quo dove tutto è scarsità, le uniche cose in abbondanza sono proiettili e benzina e dove una misteriosa forza psichica incasina ancora di più l'esistenza. In questo scenario poco idilliaco, i giocatori creano il proprio personaggio scegliendo tra uno dei tanti libretti (che più che classi sono archetipi unici tipici di un mondo post apocalisse) e costruendo assieme al GM (che qua si chiama Maestro di Cerimonie) l'ambientazione vera e propria: è tutto un deserto oppure una giungla tossica? Ci sono mutanti o altre bestie? Come sopravvive la gente? Quali sono le fazioni in gioco? Ecc. Non si tratta di un gioco incentrato sull'uso delle risorse per sopravvivere, ma un gioco drammatico e difficile che basa il suo flusso sui personaggi e i loro archi. Una delle peculiarità del regolamento è l'utilizzo di mosse, ossia delle meccaniche che si attivano quando in gioco accade qualcosa che vale come attivatore e che possono variare da personaggio a personaggio.

Le differenze tra la prima e la seconda edizione sono sostanziali. Sono state riviste e riscritte parecchie mosse base, con un'aggiunta considerevole di mosse dedicate al combattimento; è stato completamente eliminato il sistema dei fronti, ora sostituito da un molto più semplice e immediato sistema di fazioni che secondo me funziona meglio; sono stati rivisti tutti i libretti e ne sono stati aggiunti degli altri, ampliando decisamente di più l'offerta; è stato modificata la gestione dei danni.

Consigliato se: avete apprezzato il primo AW e volete una sua versione rivista e corretta; se non avete mai giocato AW ma volete un gioco post-apocalittico solido che parli di personaggi drammatici e bastardi e dove le cose possono escalare in fretta in merda. Se siete game designer e volete un gioco ben scritto da studiare.

Sconsigliato se: apprezzate poco AW e i PbtA in generale e volete un gioco post-apocalitico basato sulla gestione delle risorse e sulla sopravvivenza dura e pura.


Dungeons & Dragon 5.0

Autori: Jeremy Crawford, Cris Perkins
Editore: Asmodee
Master: 
Numero giocatori: 3-6
Durata: campagne lunghe
Preparazione: 
Prezzo: 50 €
Info editoriali: formato A4; copertina rigida; colori; troverete solo il "manuale del giocatore", ma a differenza di altre versioni è il tomo base che serve per giocare. 

Non vi aspettavate questo consiglio da me, vero? E invece eccovi spalmato su queste pagine D&D 5.0. Non è un consiglio per tutti, ovviamente, ma se siete di quei giocatori che apprezzano D&D e il gioco tradizionale in generale, e amate il fantasy esagerato tipico del papà dei giochi di ruolo, allora la quinta edizione dovrebbe essere vostra. Non so ancora che lavoro abbiano fatto con la traduzione, ma il gioco in se è, a detta di molti, la migliore edizione di Dungeons & Dragons uscita sino ad ora. È stata pensata per accontentare un po' tutti, con qualche strizzatina d'occhio ai giochi non tradizionali e ammodernamenti sensati sul lato build e numeretti. Di sicuro è un gioco con un'anima meno min/max che in passato, più incentrato a una, pur blanda, narrazione.

Se foste interessati a saperne di più, vi lascio a questo bellissimo articolo di Alex Grisafi: cosa c'è di nuovo in Dungeons & Dragonas 5.0? Vi spiega molto meglio di come potrei fare io cosa differenzia questa nuova versione da quelle precedenti e vi spiega nel dettaglio la natura di alcuni nuovi elementi, come i vantaggi/svantaggi (che sono molto interessanti), i background finalmente regolamentati, i combattimenti più dinamici, i mostri e i png costruiti in maniera differente rispetto ai PG e così via. È un articolo davvero completo e ben scritto che dovrebbe togliervi ogni dubbio.

Consigliato se: vi piace D&D (qualsiasi edizione), apprezzate i giochi "tradizionali" e allo stesso tempo amate il fantasy alla D&D, e siete alla ricerca di un giocone fantasy con il quale passare i mesi. Il costo importante di 50 bigliettoni lo rende un acquisto da fare solo se lo volete davvero, quindi evitate se siete solo curiosi, ma prendetelo a occhi chiusi se siete sicuri di giocarci. Io per esempio, per quanto voglia averlo nella mia collezione (sono serio, voglio tanto giocarci), temo lo lascerò dov'è. Avete per caso un cinquantone da prestarmi?

Sconsigliato se: vi siete stufati di D&D, dato che non troverete nessuna vera innovazione e avrete davanti una versione più snella dei vecchi giochi, e se non apprezzate i giochi "tradizionali". È un gioco che non aggiunge e toglie niente al panorama ludico; è nato principalmente per accontentare gli appassionati ed è, in pratica, fan service gdristico, pur se di ottima qualità. 


La Società dei Sognatori

Autore: Matthijs Holter
Editore: Dreamlord Press
Master: no
Numero giocatori: 2-5
Durata: 1 sessione o più
Preparazione: no
Prezzo: 10 €
Info editoriali: A5; BN.


Si tratta di un piccolo grande gioco, senza master, da una sola sessione ma virtualmente estendibile su più sessioni. La Società dei Sognatori è un'avventura onirica in cui particolari individui possiedono la chiave per entrare nel mondo dei sogni e manipolarli. Siamo nel XIX secolo; i sognatori, di estrazione sociale disparata, fanno parte di una società segreta il cui scopo è studiare i sogni e le creature viventi che vi abitano, chiamate da loro mnemositi. I sognatori cercano e studiano i mnemositi con gli strumenti della scienza e della magia, e come giocatori il nostro scopo sarà accompagnare questi studiosi nei loro viaggi e lungo la loro comprensione del mondo dei sogni.

La Società dei Sognatori vive su due piani: quello dei giocatori seduti al tavolo e quello dei personaggi nel mondo dei sogni. Il regolamento è particolare, richiede persino dei rituali da fare al tavolo e una plancia Ouija con dei nomi, da utilizzare in stile seduta spiritica per settare le varie scene. Tutto il regolamento è fortemente free form, con le semplici regole che servono come sostegno alla creatività e come impedimento al gioco di naufragare. Si giocano partite rapide, oniriche e profonde, dove si finirà per scontrarsi con altre società dei sogni o con mnemositi particolari. L'atmosfera che tutto il materiale analogico aiuta a ricreare è figa e particolare e secondo me finirete per rigiocare il gioco con altre persone, anche perché si presta molto bene come gioco introduttivo per chi non ha mai giocato un gioco di ruolo in vita sua.

Consigliato se: amate le storie oniriche e weird, i giochi senza master e i regolamenti snelli e freeform votati alla narrazione. Il prezzo di 10 euro comunque, e il numero limitato di pagine (una sessantina) dovrebbe consentirvi di prendere il gioco anche solo per pura curiosità.

Sconsigliato se: preferite decisamente i giochi pieni di regole, con un GM, oppure se non apprezzate per niente le premesse di base del gioco.

Lovecraftesque

Autori: Becky Annison, Josh Fox
Editore: Narrattiva
Master: no
Numero giocatori: 3-5
Durata: 1 sessione
Preparazione: no
Prezzo: 29,90 €
Info editoriali: formato A5; copertina cartonata; BN; inchiostro simpatico all'interno del manuale, da leggere con una speciale penna.

Non ho ancora visto l'edizione Narrattiva dal vivo (speriamo in pochi typo e refusi), ma conosco il gioco ed è di quelle perle che, specialmente se siete amanti dello scrittore di Providence, non potete farvi scappare. Ne parlai già una volta in quest'articolo, quindi il grosso delle info le trovate li. Quello che posso dirvi, riassumendo, è che si tratta di un gioco di narrazione, slegato dai miti in quanto tali, il cui scopo è quello di ricreare il feeling e i toni di un classico racconto alla Lovecraft. A mio avviso è uno dei pochi giochi, se non l'unico, a riuscirci davvero. Per farlo, tutto il regolamento propone procedure ispirate al modo di scrivere del buon vecchio Howard: un unico protagonista, un mistero che si svela piano piano e un livello di soprannaturale bassissimo che esplode solo sul finale. Lontanissimo, insomma, da mostri sacri come Call of Cthulhu, e per questo decisamente più in linea con la materia d'ispirazione.

Si tratta di un gioco senza master, con ruoli che cambiano a turno e votato principalmente alla narrazione, quindi con vincoli e paletti chiari su chi può narrare cosa e procedure precise su come ricostruire i racconti lovecrafteschi. Il manuale propone anche un capitolo molto bello sul modo di scrivere di Lovecraft, interessante anche come saggio letterario in se. Chiaramente, essendo il gioco pensato per singole sessioni, non è adatto a riempire mesi e mesi di gioco, ma dato che è auto conclusivo, potete rigiocarci tranquillamente più volte.

Consigliato se: vi piacciono i racconti di Lovecraft e avreste sempre voluto riproporli fedelmente in un gioco di ruolo; vi affascinano i giochi di narrazione e i tono horror e volete un gioco ottimo in tal senso. Il prezzo è altino, ma potrebbe valere facilmente la candela.

Sconsigliato se: solo l'idea di giocare senza master vi provoca incubi notturni, e se non amate particolarmente Lovecraft. In quel caso non ve ne fareste nulla. 


Pataphysic Wander

Autore: Alberto Tronchi
Editore: Dreamlord Press
Master:
Numero giocatori: 3-5
Durata: 5-20 sessioni
Preparazione: minima
Prezzo: 20 €
Info editoriali: soft cover; A5 verticale; colori.


Se conoscete Alberto Tronchi allora saprete perché questo gioco si trova tra i consigli. Alberto è un designer eccezionale e non esiste gioco scritto da lui che non valga la pena giocare. Aegis, Ars Gladiatoria, Evolution Pulse, Omen, No Way Out, sono tutti titoli ottimi dalla qualità elevata. Pataphysic Wander, dato che ho già avuto l'onore di leggerlo e studiarlo, non abbassa per niente la media e, anzi, propone idee interessanti innestandole all'interno del regolamento di Fate Accelerato.

Pataphysic Wander è un viaggio di formazione, in cui ragazzini segnati da un trauma si rifugiano nel mondo dei sogni, luogo fuori dal tempo e dalle leggi della fisica dove tutto è possibile e dove vivranno un'avventura che li cambierà per sempre, traghettandoli nel mondo degli adulti e trasformandoli in persone diverse e, forse, migliori. Non mi va di dirvi in che modo il gioco tenta di ricreare questi temi, ma mi va piuttosto di lasciarvi delle suggestioni. Tutto l'impianto è altamente poetico e metaforico, si respira un'aria di magia e il modo in cui Alberto ha deciso di toccare dei temi profondi e difficili con sensibilità eleva il gioco e lo rende sicuramente più interessante di molti altri titoli che si prendono troppo sul serio. Pataphysic Wander è un po' Alice in Wondeland e un po' Donnie Darko, un po' La storia infinita e un po' Il labirinto del fauno, passando per Never Alone, Brothers, The Last Guardian e altri videogiochi di questo tipo. Tutte queste ispirazioni non sono campate in aria, ma si respirano davvero leggendo il manuale e, specialmente, giocando. Si ha una sensazione di catarsi e di magia che è difficile rendere così bene in un gioco. Tanto di cappello ad Alberto.

Consigliato se: vi piacciono i giochi poetici dove la magia e l'avventura sono metafore per qualcosa di più profondo; non vi dispiace Fate come sistema base; non avete problemi a giocare nei panni di ragazzini.

Sconsigliato se: non vi interessa affatto il tema base del gioco e non apprezzate per nulla Fate.



Altri giochi importanti e interessanti ma che preferisco non consigliare apertamente sono, senza dubbio, The Sprawl (Dreamlord Press, 30 €) e Shadow of the Demon Lord (Wyrd, non so il prezzo), rispettivamente un powered by the apocalypse cyberpunk che strizza l'occhio a Cyberpunk 2020 e che non mi fa impazzire (per quanto sia un ottimo gioco che potrebbe piacere un sacco agli appassionati), e un fantasy/horror che, personalmente, non trovo granché interessante, ma che so essere parecchio apprezzato da chi ama questo tipo di giochi, quindi da tenere d'occhio.

Voglio citare anche i due mondi d Fate pubblicati dalla sarda Origami edizioni: uno si chiama Multiverse Ballad (34,90 €), è scritto dal bravo Andrea Atzori ed è basato sull'omonimo romanzo sci-fi, mentre l'altro è del veterano Mauro Longo e si chiama Dies Irae (29,90 €), ambientato in una Firenze del 1300 flagellata dai morti. Si tratta di due giochi basati entrambi su Fate, in edizioni davvero curate e con idee interessanti alla base. Direi di dargli un'occhiata. Per quanto mi riguarda li prenderò entrambi (fondi permettendo).

Altri titoli ghiotti non ce ne sono, tutte le altre uscite sono espansioni, come per esempio Sine Requie: Anno Zero che io personalmente credo comprerò da buon appassionato del setting, o la versione orientale di 7th Sea chiamata Khitai, che a qualcuno potrò far impazzire (parliamo comunque di un prodotto di ottima qualità) ma che a me personalmente interessa poco. Ah, escono le edizioni del ventennale di Maghi e la quinta edizione di Ars Magica (giocone). Mi rendo conto che non sono giochi da avere a tutti i costi, visto che parliamo di nuove edizioni di giochi vecchi, ma sono comunque titoli che han fatto la storia, quindi se avete la grana, prendeteli. Specialmente Ars Magica merita tutta la vostra attenzione.
Peccato per Le Notti di Nibiru, gioco interessante che però non esce più a Lucca. Sarà possibile pre-acquistarlo dal 23 ottobre, comunque.

Ah, per chi interessasse: mi trovate a Lucca tutti e 5 i giorni di fiera. L'1 sarò in girella per gli stand, mentre dal 2 al 5 mi trovate all'Indie Gdr Palace (Hotel San Luca Palace, via San Paolino 103) a fare demo di giochi Coyote Press e Dreamlord Press. Venite pure se volete salutarmi, menarmi, limonarmi o semplicemente volete provare qualche gioco. 

giovedì 5 ottobre 2017

E se volessi giocare... Il Signore degli Anelli?

Suilad nella Terra di Mezzo.
Questo è il secondo speciale fantasy, nonché il trentesimo articolo di questa rubrica, dove analizzo una serie tv, un videogioco, un romanzo, un film, un fumetto o un genere per capirne la struttura narrativa, consiglio giochi esistenti per giocare la stessa tipologia di storie e suggerisco qualche idea per crearne uno da zero.

Gli articoli finora pubblicati li trovate qua.


Oggi tratterò un'opera che avevo deciso di non toccare e che di sicuro non necessità di presentazioni, ossia il re indiscusso del fantasy, il Signore degli Anelli. Si tratta del romanzo fantasy per eccellenza, ideato da J. R .R. Tolkien in dieci anni e pubblicato a cavallo tra 1954 e '55. È l'opera fantasy per eccellenza, scritta a partire dall'ispirazione dell'Edda e dell'epica nordica e un caposaldo imprescindibile per tutto il genere. Tutti ne conoscono la trama, quindi non mi dilungherò oltre. Vi basti sapere che in quest'articolo non parlerò solamente del capolavoro del maestro Tolkien, ma mi riferirò più volte a tutte le opere ambientate nella Terra di Mezzo. 

Tempo fa avevo deciso di non trattare Tolkien per via dell'enorme numero di giochi di ruolo ispirati al fantasy cosiddetto tolkieniano, ma poi, ragionandoci e parlando con appassionati, mi sono accorto che il 99% di questi giochi non tocca nemmeno da lontano i veri temi tanto cari allo scrittore inglese. Specialmente, molti giocatori di ruolo sembrano totalmente ignari dell'abisso tematico che separa Il Signore degli Anelli dal classico fantasy alla Dungeons & Dragons. Spero questo articolo possa risultare interessante anche in quest'ottica di (ri)scoperta filologica. 

Ovviamente, come sa chi mi conosce, non amo particolarmente Tolkien (gusti personali; oggettivamente ne riconosco l'enorme valore letterario), quindi quasi la totalità di quello che leggerete non è farina del mio sacco ma viene dalle menti e dai consigli di +Daniele Di Rubbo+Antonio Amato e +Daniel Comerci (co-autore di Evolution Pulse, Omen e altri splendidi giochi). 



I punti salienti di un'opera sono ciò che la rendono unica e diversa da tutte le altre. Sapere quali sono i punti salienti de il Signore degli Anelli è fondamentale, se vogliamo capire come giocarlo al meglio.

L'ideologia di Tolkien

Alan Lee
Diversamente dal solito, mi sento di fare una piccola premessa per entrare meglio nella mentalità dello scrittore inglese. È fondamentale dire che Tolkien ha toccato con mano gli orrori della guerra. Non solo ha combattuto in prima persona la Grande Guerra del '14-'18, ma ha vissuto nel tragico periodo in cui sono emerse le peggiori dittature del XX secolo; un periodo di strumentalizzazione ideologica di miti arcaici, che pur non avendo nulla a che vedere con le dittature moderne, fondavano la base mitica del loro apparato ideologico di propaganda. 

Come filologo e studioso di poesia inglese antica e letteratura germanica antica, Tolkien voleva riprendere l'essenza di quei miti, riscattandoli dalla rilettura di regime a cui erano stati sottoposti. Come uomo di profonda cultura cattolica, però, egli avvertiva un conflitto potente. L'ideologia alla base di quei miti strideva fortemente con ciò che lui credeva in quanto cattolico, ed è partendo da questo conflitto che intraprese una profonda fase critica atta a fondare un nuovo tipo di epica eroica. Tutta la sua opera, a partire da Lo Hobbit per arrivare agli ultimi scritti, è segnata da una nuova direzione per lui eticamente accettabile, un modo nuovo di intendere l'epica attraverso un ciclo eroico slegato dai canoni dell'eroismo nordico.

Per lui infatti quel tipo di eroismo è macchiato da un grosso problema morale. L'eroe nordico, di cui Beowulf ne è una rappresentazione tipica, è l'eroe perfetto, baciato da ogni virtù: forza, bellezza, giustezza, coraggio, carisma, ricchezza. Per lui quell'eroismo è fine a se stesso, sterile, tracotante e persino dannoso; per orgoglio quegli eroi causano la morte dei loro sottoposti, di cui sono responsabili. Sono al servizio solo del loro orgoglio e della fama, che sovente li porta a una morte stupida. Tolkien desidera scrivere un'epica nuova, in linea con una morale di stampo cattolico e con un nuovo concetto di eroismo.

Il nuovo eroismo

Se l'eroismo delle opere antiche nordiche è un eroismo fine a se stesso, negativo, qual'è un eroismo
Alan Lee
positivo? Quello degli hobbit, ovviamente. Diciamolo meglio. Il vero eroe per Tolkien è la persona comune, che in eventi più grandi di lui prende scelte difficili, porta un fardello straziante (l'anello) e grazie alla forza del suo cuore riesce in imprese altrimenti impensabili. Gli hobbit, che rappresentano neanche tanto velatamente il popolo inglese (in una simbolizzazione dello sforzo inglese nella Seconda Guerra Mondiale), sono l'esempio perfetto dell'uomo comune. 

In questo quadro c'è d'altra parte spazio di manovra per un eroe leggermente più tradizionale (schiavo della propria tracotanza), che si comporta però in maniera diversa dal classico eroe nordico. Aragorn si sente inadeguato al suo ruolo e deve dimostrare a se stesso di esserne degno. Lui è consapevole del rischio di cadere per tracotanza, trascinato dai suoi desideri di gloria e grandezza, tanto che pur essendo erede del più grande potere tra gli uomini (se ricordate egli è l'erede al torno di Gondor), si presenta come uno straccione ripudiato che vive nei boschi. Tolkien descrive esattamente i momenti in cui Aragorn rifulge di luce diversa ("era come se il corpo dei re precedenti si fosse fuso in una sola persona"), in modo da suggerire a noi lettori cosa egli sia e cosa potrebbe diventare.

Aragorn è, a conti fatti, un reietto. Sono dunque l'uomo comune, come gli hobbit o Bard, che con una freccia uccide un drago, e i reietti, come Aragorn o Faramir, mai davvero amato e accettato dal padre, coloro che si comportano come veri eroi. Faramir, per esempio, si trova nella possibilità di prendere l'anello ma non lo vuole (cosa un po' stravolta nel film, dove prima è tentato e poi cambia idea). In netto contrasto, il fratello Boromir, che rappresenta l'eroe tipico da poema inglese, si arroga di essere re e crede di agire per il bene superiore, quindi inesorabilmente cade preda dell'anello. Si riscatta in punto di morte quando si mette al servizio delle creature più deboli proteggendo gli hobbit. Un altro esempio è Torin "scudo di quercia", che impazzisce a causa dell'arkengemma. Torna alla ragione grazie a Bilbo, che prende l'arkengemma e la consegna a Tranduil e Bard. È l'essere più insignificante del mondo (Bilbo) a ricordare al re cosa significhi essere re.

L'eroe vero è quindi umile e agisce al servizio degli altri, incurante dei suoi desideri ma spinto da un bene altruistico di matrice cristiana.
Alan Lee

Il potere corrompe 

Non importa se lo userai per il bene, negli scritti di Tolkien il fine non giustifica mai i mezzi. Quest'idea non può slegarsi dalla Storia (con la S maiuscola) che si dipanò davanti agli occhi di Tolkien: se usi l'atomica per sconfiggere il Giappone, sei diventato il nemico che volevi sconfiggere. Allo stesso modo, se pretendi di governare l'anello, non puoi, esso ti dominerà e ti trasformerà in ciò che avevi giurato di combattere, come successe a Isildur, che pure riuscì a sconfiggere Sauron, e come accade a Saruman, che si allea con il nemico, perso nei suoi deliri di potere e paranoia. 

Il potere corrompe, stuzzica la vanità degli uomini che agiscono a beneficio di se stessi. Per fare qualche esempio diverso dall'unico anello e dal suo potere di corruzione: Feanor, che crea i Silmaril, causa la rovina della sua famiglia e di suo padre, e le sue creazioni causano la rovina di intere stirpi; Lo stesso Sauron nasce come maiar, un essere bellissimo, di una bellezza immensa, che cede però alle lusinghe di Melkor, anch'egli caduto per desiderio di potere. Entrambi cadono come novelli Lucifero, corrotti dalla loro stessa tracotanza. 
Alan Lee

Tutto ha una storia 

Secondo Tolkien la natura dell'uomo è avere un passato, perciò nelle sue opere tutto ha un passato. Le cose antiche hanno un'importanza profonda, e le descrizioni e le storie che li circondano sono al limite del maniacale. Uno degli elementi ricorrenti, specialmente ne Il Signore degli Anelli, è il ribadire che ogni angolo di mondo tempo fa era diverso, che lì prima c'era qualcosa. Attraverso le lunghe descrizioni e i racconti dei personaggi stessi, Tolkien dimostra al lettore che un castello non è un semplice castello, ma in passato magari era una roccaforte elfica della seconda era. Pensiamo un attimo a Lo Hobbit: quando i nostri eroi trovano le armi nella collina dei troll, queste non sono semplici spade, sono armi elfiche, forgiate a Gondolin. O ancora, quando Tolkien ci presenta Frodo, sappiamo tutte le sue parentele, parente dopo parente, cosa che vale per ogni personaggio vagamente importante. Tutto ha una storia e tutto è collegato 

L'importanza della natura

La natura ha, per Tolkien, un'importanza vitale. Essa è la forza primordiale, l'ordine da salvaguardare e con il quale vivere in armonia. Gli elfi, le creature più divine secondo l'ottica dell'autore, sono legati alla terra e riescono a vivere in simbiosi con la natura. Gli hobbit, che rappresentano lo stile di vita semplice agognato da Tolken, vivono anche loro a contatto con la natura, persino in case costruite all'interno di colline e attorniate da campi coltivati, fiumi, boschetti.

Alan Lee
Tutti gli antagonisti, come ne Il Signore degli Anelli, distruggono la natura e ne rovinano l'ordine. Saruman, per esempio, disbosca la foresta di Fangorn, obbligando la natura a ribellarsi sotto la forma di Ent inferociti. Anche nel Silmarillion c'è l'esempio del navigatore che fa distruggere molte delle foreste dell'isola per farsi la flotta. La guerra è sempre causa di male e devastazione. 

La natura in Tolkien risente di quello che la circonda, è lo specchio di ciò che corrompe o esalta l'animo dell'uomo ed è foriera di segni e significati. Le colline di Cardoan, devastate dagli spettri, diventano un luogo spettrale. Bosco Atro assume il suo aspetto lugubre e pericoloso per colpa del negromante. La città di Erebor e la terra circostante diventano luoghi devastati perché Smaug vi ha fatto la sua tana. L'albero bianco di Gondor è avvizzito perché la città bianca non ha un re, e quando finalmente Aragorn riceve la corona viene ritrovato un seme bianco per far fiorire nuovamente l'antico fusto. 

La magia nella Terra di Mezzo

La magia è parte integrante del mondo e fa parte della sua creazione. La musica degli Ainor permea tutte le cose e di fatto tutto ciò che c'è nel mondo è già il riflesso di quella magia, siamo noi che non lo vediamo. Il senso del meraviglioso sta, per Tolkien, nelle piccole cose quotidiane (l'amicizia, il focolare), e sconfina in un sobrio ma sincero amore per la natura. La magia è emanazione stessa delle leggi naturali, e lo si può intuire dal dialogo tra Sam e Galadriel. Galadriel non riesce a comprendere la parola "magia", non capisce come lo stesso termine si riferisca sia alla magia di Sauron che alla sua. 

Alan Lee
Non c'è mai un qualcosa di estremamente magico nella magia di Tolkien: essa è innata, non si impara, non ci sono libri di incantesimi e solitamente i personaggi nobili di cuore possiedono qualche abilità fuori dal comune (come Bard, che dialoga con i tordi, o come la foglia curativa Atelas, la quale funziona solo con l'erede di Gondor o con gli Elfi, coloro che hanno magia nel sangue.). Non è detto che la magia abbia un effetto tangibile, di solito essa è sempre riferita alla velocità nell'eseguire un'azione e non può manipolare la materia, né crearla. Tutto il discorso di Saruman è riferito a questo: lui non crea gli urukai dal nulla, ma da un impasto di fango e segatura. Utilizzare qualcosa che esiste per creare qualcos'altro (nel caso della magia oscura, generare roba storpia e corrotta) è l'essenza stessa della magia tolkieniana. Nessuno può creare, poiché la magia opera in modi sottili e assolutamente non coreografici.

Di oggetti magici ne esistono pochissimi e sono tutti pericolosissimi, secondo il concetto che il potere corrompe sempre al di là dei propri intenti. E così l'anello è un'arma di indicibile pericolosità, così come i Palantir o i Silmaril. 

La forza dell'amicizia

La speranza nelle piccole cose comuni e nelle persone amate e ciò che nutre il cuore del vero eroe. L'amicizia tra Frodo e Sam, per esempio, è l'emblema di come i rapporti sinceri siano un potere immenso capace di rivaleggiare con la più terribile magia oscura. Sam riesce a uccidere Shelob perché spinto dall'amicizia per Frodo. L'amicizia catalizza il coraggio e gli da vigore, perché sono le piccole cose quelle che contano nel lungo termine. Pensiamo anche all'amicizia tra Legolas e Gimli, membri di due razze che non si sopportano, anche se prima erano molto amiche. L'amicizia, nel mondo di Tolkien, permette in qualche modo di curare le ferite e crea legami duraturi che travalicano il tempo: per esempio ne Lo Hobbit dopo tanti anni i nani tornano a salutare Bilbo. Chiaramente i veri legami, quelli forti, si creano nelle avversità, e sono proprio le peripezie ad unire in modo così saldo gli eroi.

Il viaggio

Il tema del viaggio è particolarmente importante all'interno della poetica tolkieniana. Non si tratta solo di un viaggio fisico, ma anche di un viaggio interiore. I personaggi crescono e conoscono loro stessi, scoprendo dentro di loro l'eroe che non pensavano di essere. Nel frattempo si imbattono in nuovi straordinari luoghi, in nuovi personaggi indimenticabili e nuovi pericoli. Le peripezie avventurose sono essenziali in questo percorso di crescita e ne costituiscono l'ossatura. 


Di seguito troverete un elenco di punti che, per me, dovrebbero caratterizzare un gioco ideale su il Signore degli Anelli.
Alan Lee
  • Persone comuni e reietti come eroi: i veri protagonisti dovrebbero sempre essere personaggi eroici dal punto di vista di Tolkien. Ne abbiamo parlato più su, quindi non ci resta che ideare un sistema di creazione dei personaggi che non contraddica questo punto. Possiamo usare tratti o particolari ambiti di conflitto e abbandonare quasi totalmente l'idea di quantificare le competenze dei personaggi. In un D&D gli hobbit sarebbero senza dubbio personaggi di infimo livello, eppure riescono in epiche imprese. 
  • La corruzione dell'eroe: deve essere possibile per l'eroe venire corrotto dalla sua stessa brama e dal potere. Questa corruzione dovrebbe essere anche reversibile e dovrebbe fare leva sugli istinti da "eroe classico" che ogni personaggio dovrebbe avere in parti variabili.
  • Azione epica: l'azione deve avere un retrogusto epico e incalzante, quindi magari dovrebbo preferire regolamenti non ispirati ai wargame ma qualcosa di più coreografico.
  • Legami importanti: i legami tra i personaggi devono crearsi durante le avversità ed essere delle ancore di salvezza in alcuni momenti. Devono essere importanti a livello meccanico. L'amicizia deve avere un peso enorme.
  • Il momento eroico: la possibilità dell'eroe di compiere imprese impossibili grazie alla purezza del suo cuore e alla forza dei suoi legami. Deve contare il momento e per il giocatore deve essere possibile decidere cosa vuole sacrificare per riuscire nella sua impresa. È tutta una questione di forza di volontà, non di capacità e abilità. 
  • Una backstory da creare momento per momento: ossia ogni oggetto, luogo e personaggio
    Alan Lee
    dovrebbe avere una sua storia, e questo è fattibile in tanti modi, dal banale lasciare che sia un Master a pensare tutto nella sua cameretta, all'ideare sistemi che permettano a tutti al tavolo di inserire fatti nella narrazione relativi al passato mitologico ed epico delle cose.
  • La quest del bene contro il male: dev'essere una struttura imprescindibile. Alcuni eroi cercano di fronteggiare un grande potere per impedire che questi causi la distruzione del mondo o per riprendere qualcosa di perduto e prezioso. 
  • Magia sottile: molti giochi ambientati nella Terra di Mezzo usano dei sistemi magici totalmente fuori contesto. A noi serve una magia sottile, legata a qualche dono innato dei personaggi. Possiamo gestirla come semplice tratto, volendo, o con regolette dedicate, ma avendo bene in mente come funziona la magia tolkieniana.
  • Regole per il viaggio: per creare avventure e per contestualizzare la crescita degli eroi. 


Era impensabile che un brand così importante e famoso come quello della Terra di Mezzo non venisse fagocitato dai giochi di ruolo. Oltre alle mille ispirazioni che hanno dato vita a mostri sacri come Dungeons & Dragons, il mondo tolkieniano è diventato il setting di numerosi giochi di ruolo.

Il più famoso e il primo ad aver avuto riconoscimento ufficiale è senza dubbio GIRSA, acronimo di GIoco di Ruolo del Signore degli Anelli e traduzione di MERPMiddle Earth Role Play, del 1984. Ad oggi è un titolo invecchiato molto male, che ha grande valore come pezzo di storia e come manuale da collezione, ancora amato da molti fan duri e puri, ma ha molto meno senso come gioco da utilizzare. Basa il suo intricato regolamento su Rolemaster, quindi su un grosso sistema di combattimento a base wargame e su molte tabelle che indicano la risoluzione di quasi tutti i tiri. Già all'epoca non erano pochi i giocatori a ritenerlo inadatto al tipo di storie alla Tolkien, sia per via dell'ineleganza delle sue tabelle, sia per la magia decisamente fuori contesto nel mondo di Arda; oggi, con il senno di poi, appare chiaro come GIRSA sia un motore pesante e privo di tutti gli elementi tipici della narrativa di Tolkien. È prezioso come memoria storica, ma di sicuro non va bene agli scopi di quest'articolo.

Passano parecchi anni, e sulla traccia del successo della trilogia filmica di Peter Jackson, esce Il signore degli anelli Gioco di Ruolo. Risulta senza dubbio molto meno lontano di GIRSA dalla fonte di ispirazione (c'è pure un contatore di corruzione), ma presenta comunque un approccio davvero troppo classico alla D&D, con personaggi molto sbilanciati tra loro a livello di competenze (che nel gioco contano) e un'impronta troppo action focalizzata sul combattimento. Se vi piacciono giochi di questo stampo, però, potrebbe essere un'idea valida, anche per via delle numerosissime espansioni dedicate. Dateci un'occhiata, sempre che riusciate a procurarvelo. 

Di recentissima pubblicazione è invece l'espansione a tema Terra di Mezzo per la quinta edizione di Dungeons & Dragons, dal nome Avventure nella Terra di Mezzo. Rimane di base sempre D&D, quindi un gioco con un combattimento wargamoso importante e un approccio decisamente dungeon crawling all'esperienza, ma con accorgimenti più in linea con la narrativa di Tolkien. C'è la corruzione, la magia è sottile e tematica, le culture, che sostituiscono le razze, hanno le loro virtù specifiche e ben delineate, le classi sono state ritematizzate ed esiste una fase per la compagnia. Certo, rimane comunque D&D nella Terra di Mezzo, ma se vi piace il genere potrebbe risultarvi molto gradevole. Va da sè che non lo consiglierò a chi invece cerca qualcosa di molto più affine al modo di Tolkien di scrivere. 

Esiste infine L'unico Anello, gioco di Francesco Nepitello e Marco Maggi che da qualche anno riscuote un buon successo di pubblico e critica. Ne parlerò meglio nel paragrafo successivo dedicato ai giochi da usare. 


Siamo troppo pigri o non abbiamo il tempo per costruirci un gioco tutto da zero? Niente paura, di seguito vi propongo qualche titolo abbastanza azzeccato, che potrete usare al naturale o dopo una serie di modifiche.

L'unico Anello - lo trovate qui
Autore:
Francesco Nepitello, Marco Maggi
Numero giocatori: 3-6
Durata: molte sessioni
Lingua: italiano, inglese
Tipologia: con master, crunchy
Scritto da due italianissimi autori (Maggi e Nepitello), L'unico Anello si ambienta tra la fine de Lo Hobbit e la guerra dell'anello, ancora lontana all'orizzonte. Si tratta di un gioco decisamente corposo, sia a livello di regole che di pagine da leggere, dove i giocatori possono creare i personaggi scegliendo tra archetipi e razze inserite nel manuale con cura. L'approccio a Tolkien è abbastanza maniacale, e tutte le regole sembrano ricalcarne i temi principali. Il gioco si dive in due fasi: una d'avventura, con le peripezie più classiche e i combattimenti, e una di compagnia, dove ci si focalizza sulla vita di tutti i giorni dei personaggi. Questa fase è narrata dai giocatori. Il grosso delle regole, poi, gestisce il viaggio (attraverso una bellissima mappa), i legami tra personaggi (il Focus) e la corruzione dell'ombra. Grossissimo peso ha il combattimento, forse troppo rispetto a quanto si vede nei libri di Tolkien, ma a mio avviso non rompe in alcun modo il tono, che resta sempre adeguato all'opera di ispirazione. 

Personalmente parlando non è un gioco che mi fa impazzire: è ancora molto classico in tante sue parti e demanda moltissimo al GM, ma oggettivamente è molto affine alle opere tolkieniane ed è un gioco validissimo che potrebbe regalarvi tantissime gioie. Tra i giochi ambientati nella Terra di Mezzo è per ora il migliore. 


Follow - lo trovate qui
Autore:
 Ben Robbins
Numero giocatori: 3-6
Durata: poche sessioni
Lingua: inglese
Tipologia: con master, soft-rule
In Follow un gruppo di personaggi agirà assieme per raggiungere un obiettivo comune. Una quest, che può essere un epico fantasy o un thriller in tribunale, e che va scelta all'inizio: dobbiamo uccidere un drago, curare l'epidemia che sta decimando la popolazione oppure far vincere il nostro candidato alle elezioni politiche? Per come funzionano le sue semplici regole è a dir poco perfetto per il Signore degli Anelli.  Tutto il regolamento è snello e semplice, direi quasi minimale. Si creano personaggi a tutto tondo, con desideri e qualità, e il bello è scoprire se riusciranno nonostante le loro diversità (e grazie ad esse) oppure falliranno a causa di esse. Il manuale inoltre propone uno scenario già pronto, The Dragon, che ricorda tantissimo Lo Hobbit. 



Fate Base - lo trovate qui; Fate Accelerato - lo trovate qui
Autore: Fred Hicks, Rob Donoghue
Numero giocatori: 3-6
Durata: 10+ sessioni

Lingua: italiano, inglese

Tipologia: con master, soft-rule
Come ormai vi avrò ripetuto alla nausea, Fate (in entrambe le sue versioni) nasce per giocare storie di eroi proattivi, competenti e drammatici, e direi che gli eroi di Tolkien sono tutte e tre queste cose. Fate è in effetti un gioco a dir poco ottimo per giocare Il Signore degli Anelli, sia al naturale, grazie alle regole per l'avventura e per le tentazioni (perfette per gestire la corruzione), con tutta la sua carica cinematografica che spinge verso la creazione di una narrazione emergente, sia modificato per assolvere ancora meglio al compito.

Parlando di mondi di Fate, impossibile non citare Tirnath-en-Êl Annûn, hack di Fate ispirata agli scritti di Tolkien e ideata da Daniele Di Rubbo, Antonio Amato e Daniel Comerci. Il gioco è ancora in fase di scrittura, ma se chiedete agli autori saranno lieti di passarvi il materiale fino ad ora realizzato. Il gioco parla dei raminghi del nord e ha regole molto belle per gestire la corruzione e tutte le tipiche tematiche tolkieniane, come per esempio il sistema di Virtù ispirato agli Approcci dell'Accelerato e rivisto per ricreare al meglio gli eroi tipici della Terra di Mezzo. 


Altri giochi 

Fellowship: gioco di Jacob Randolph ispirato tantissimo a Il Signore degli Anelli, è un pbta dove si gioca una compagnia in un mondo fantasy alle prese con forze oscure e un obiettivo da raggiungere. È tematicamente molto affine, ma è un gioco che ho trovato molto debole, quindi lo consiglio con le pinze. 
Before the Storm: è un bellissimo larp freeform contenuto nella raccolta Seven Wonders. La premessa è la seguente: degli eroi si radunano la notte della battaglia contro una potenza insormontabile. Fanno una grande chiacchierata nella quale portano alla luce gli screzi degli anni precedenti. I giocatori giocano le scene in flashback fino ad arrivare al finale per vedere come va la battaglia. Perfetto per giocare battaglie del mondo di Tolkien, come la battaglia di Fornos Terain o del fosso di Helm. 


Chiudendo l'articolo, voi cosa ne pensate? Cosa dovrebbe avere un gioco su il Signore degli Anelli per essere davvero efficace? Come creereste un gioco dedicato? Quale gioco esistente, anche diverso da quelli proposti, usereste? Fatemelo sapere nei commenti.
Alan Lee